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I dimenticati

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Dalle Alpi alle Ande Preston Sturges sei grande. / 13 Maggio 2019 in I dimenticati

John Sullivan (Joel McCrea), regista americano di grandi commedie di successo, ritiene, a causa della crisi economica prima e dello scoppio della Seconda guerra mondiale poi, di dover passare a film impegnati. Ha un progetto per la mente, quello di realizzare “Fratello dove sei?” e raccontare la vita di chi sta ai margini. John però è ricco e la miseria non sa cosa sia, quindi per conoscere meglio la realtà che intende indagare John si traveste da barbone ed inizia a vivere la vita di chi sta ai margini della società. Comincia il suo esperimento, aiuta nelle faccende una vedova che se lo vorrebbe bombare, scappa, si incontra con un’attrice fallita, poi prende un treno e dei senzatetto lo accusano di dilettantismo proprio perché lo vedono troppo impacciato per essere uno che non ha nulla. Allora lui recita, si immedesima nell’altro, si comporta come un cavaliere bianco in cerca di guai, ma i barboni non se lo cagano di striscio.
Il film è bello all’inverosimile e ha un ritmo che regge la sfida con i film di oggi. Per quanto riguarda il cast, ho preferito il ruolo femminile di Veronica Lake, a quello maschile di Joel McCrea. Veronica Lake interpreta una ragazza che vorrebbe tornare al paesello, è bella, bionda e si dà un sacco di arie, ma ha preso la batosta da Hollywood. Veronica Lake fa un discorso bellissimo sullo star system, . Odia i film musicali e quelli educativi, ma ha visto tutti i film di Sullivan. Cioè lei non sa chi ca**o sia, perché non lo ha mai visto in faccia, ma dopo neanche dieci minuti di discorsi sul cinema un paio di dubbi le vengono. Messo alle corde lascia aiutarsi dalla bionda e l’esperimento sociale prende un’altra piega.
Grande film sul cinema, sulla cattiveria, sulla miseria, sull’umanità e la bestialità, che a tratti mi ha ricordato il cinema di Ernst Lubitsch, Sullivan’s Travels è un film da vedere assolutamente. Una commedia con delle forti pennellate drammatiche. Porterò nel cuore due sequenze: quella dei senzatetto in Chiesa mezzi addormentati, disattenti mentre un prete autorevole dice messa e quella dove Veronica e Joel si trovano spalla a spalla coi senzatetto, dormono assieme, e a Joel durante la notte gli rubano le scarpe.
Ve lo consiglio caldamente
DonMax

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M / 11 Aprile 2019 in I dimenticati

Una commedia sul cinema di straordinaria modernità: il film inizia in medias res, con due persone che lottano sul tetto di un treno, fino a cadere e presumibilmente a morire entrambi. Poi la scritta “The End”, a circa un minuto dall’inizio del film. Piccolo colpo di genio, ovviamente si trattava della proiezione di un film dentro al film, ma inganna alla grande lo spettatore.
Il protagonista è il regista di quel film, esortato dai produttori a non fare un film politico sulla povertà, che è esattamente I dimenticati: ancora una volta, un film dentro il film. Messo di fronte da quegli stessi produttori a un fatto incontestabile, cioè che Sullivan (appunto, il regista protagonista) viene da una famiglia agiata e non ha mai conosciuto la miseria e la povertà di cui vuole parlare nel suo film, questi decide di mettersi i peggiori vestiti del suo guardaroba e di andare a vivere come un barbone con soli 10 centesimi in tasca (“Non so per quanto, una settimana, un mese, forse un anno”).

E qui sta il vero tocco di classe di Sturges, la sua consapevolezza che il cinema, anche quando si impegna politicamente, anche quando mostra la realtà della miseria, è comunque finzione: è finzione il protagonista, sedicente clochard in realtà ricchissimo, è finzione la sua avventura, in realtà seguita a breve distanza da un bizzarro gruppetto assoldato dagli studios affinché non succeda nulla al loro regista punta di diamante, è finzione il suo farsi accompagnare, a un certo punto, da un’altra sedicente barbona (personaggio poi fondamentale) che lo fa solo per provarne l’ebrezza, è finzione la chiamata dei due maggiordomi alla compagnia ferroviaria per sapere in che punto conviene che salgano i vagabondi (così il padrone saprà esattamente come muoversi), è finzione la sua morte, è finzione la sua risata di fronte al film di Topolino e Pluto, è finzione il suo omicidio (di se stesso, peraltro, Sullivan uccide Sullivan) e, di finzione in finzione, il film inanella una sequela di scene impossibili, appunto per esplicitare quanto tutto sia di cartapesta (l’esempio lampante è la macchina di cartone guidata dal ragazzino tredicenne, con tanto di quadranti disegnati col gesso, che pure va più veloce di una macchina vera).

Ma spicca anche la serata al cinema: dopo aver trovato lavoro come taglialegna presso due sorelle (una vedova, l’altra nubile) piccoloborghesi, Sullivan viene accompagnato dalle due a guardare un film. Qui si rende conto di come la gente comune fruisce dell’arte cinematografica, tra neonati che piangono, rumori masticanti vari, singulti di un ubriaco e così via. Due riflessioni dunque:
1) come si può fare un film impegnato, se la grandissima parte del pubblico guarda i film in maniera distratta, come puro intrattenimento che vale quanto una partita di baseball o una serata al bar (cioè una scusa per passare due ore in compagnia senza pensare troppo)?
2) come si può fare un film sulla povertà se la povertà vera è tra chi guarda lo schermo, non tra chi è sullo schermo? Per quanto potente possa essere il film, mostrare una povertà esibita e costruita a chi la povertà la vive sulla pelle non sarà mai davvero d’effetto. “Ai poveri non interessano i film sui poveri. Quelli interessano solo agli intellettuali” dice a Sullivan il suo maggiordomo poco prima di intraprendere la sua avventura da vagabondo. Ecco, in effetti è tutto qui.

Non è dunque un caso che le scene più drammatiche, quelle che davvero mostrano la miseria più nera e senza ironia, facciano a meno del sonoro diegetico: c’è solo la musica, la colonna sonora extradiegetica. Ancora e ancora, non c’è possibilità di racconto del reale senza che il cinema si ponga in mezzo: strumento sì, ma anche ostacolo.

E di nuovo, non è un caso che infine Sullivan abbandoni il suo progetto di film sulla miseria, per fare una commedia, perché, come lui stesso dice:
1) ha capito quant’è importante far ridere la gente (dunque, come si diceva, quanto alla miseria vera non interessi la miseria raccontata, ma lo svago, l’estraneazione dalla miseria);
2) perché, nonostante le disavventure (alcune davvero pesanti) attraverso cui è passato, ancora sostiene di non aver sofferto abbastanza. La sofferenza, la vera sofferenza, come punto irraggiungibile da un regista (ovvero, dalla macchina cinematografica).

È una commedia ma è anche un canto disperato, o meglio rassegnato, o meglio ancora dolente, di fronte all’incapacità del cinema (dell’arte tutta?) di penetrare davvero la realtà: vuole essere un film sulla miseria, è in realtà un film sul cinema che racconta la miseria e che in questo fallisce. Imperdibile.

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‘What people need most at this time is something to laugh at’ / 5 Aprile 2017 in I dimenticati

I Dimenticati è una commedia geniale, con ritmo incalzante e un gran mordente nel suo susseguirsi di rapide battute e sporadici sketch classici ma intramontabili.
Sturges è riuscito a produrre il film che Frank Capra avrebbe sempre voluto girare se solo avesse avuto il suo stesso piglio e il suo stesso genio.
Uno dei rari esempi di “film nel film”, che critica e parodizza la golden age hollywoodiana dei bei film di intrattenimento ma che sostanzialmente non offrono nessun messaggio, in un epoca in cui, un film più concettuale e “raffinato” veniva affiancato ad idee sinistroidi.
Al di là delle risate e gli scherzi, un gran messaggio nel finale, derivata da quella morale “attempata” ma rassicurante.
Un film invecchiato benissimo, anche se fu rilasciato più di 75 anni fa.

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