Recensione su Sulla mia pelle

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La morte di Stefano Cucchi: gesti, parole, opere e omissioni / 14 Settembre 2018 in Sulla mia pelle

Non ce la faccio a esprimere un giudizio analitico su questo film.
Però, mi sento di dire che la capacità del regista e sceneggiatore Alessio Cremonini di raccontare (insieme a Lisa Nur Sultan) la morte di Stefano Cucchi quasi per sottrazione è stata pregevole. Della mimesi di Alessandro Borghi è quasi inutile parlare: la sua prova artistica e umana è impressionante.
Sicuramente, Sulla mia pelle è il miglior film Netflix visto finora.
Oltre a mostrare la progressiva comparsa sul corpo di Borghi dei terribili segni delle percosse subite da Cucchi nella realtà e i mortali effetti sul suo organismo, il film di Cremonini non indulge mai sulle dinamiche della violenza fisica subita dal protagonista, ma -piuttosto- insiste sull’aspetto psicologico della vicenda legato all’atteggiamento omertoso di chi l’ha circondato nei suoi ultimi giorni di vita.
Sulla mia pelle non fa sconti a nessuno, né alla vittima, difettosa e assolutamente imperfetta, né a chi, in modi diversi, ha concorso a causarne la morte, né al pubblico. Il film è un concreto atto d’accusa e uno strumento di riflessione, apolitico ma sociale, che potrebbe essere utile a sensibilizzare l’opinione pubblica nei confronti di un sistema burocratizzato all’eccesso, cieco e sordo, in cui, purtroppo, il senso del potere travalica spesso la morale personale. I fatti del G8 di Genova, la Diaz, Bolzaneto, Aldrovandi, Uva… Non vado più indietro del 2001, perché, prima di quel luglio di sangue, non ero davvero cosciente di quel che era accaduto e accadeva nel mio Paese. Per quanto, nel mio piccolo, avessi già avuto esperienza di quanto una scrivania, una divisa, un titolo accademico o l’iscrizione a un albo professionale possono manipolare la vita altrui, non avevo realmente idea del condizionamento psicologico che i cittadini subiscono da parte di rappresentanti deviati delle professioni e delle istituzioni. In questi anni, ho imparato una cosa, banale ma non scontata: siamo esseri umani e, in quanto tali, siamo imperfetti e, spesso, illogici, umorali, istintivi. Penso che, chi più, chi meno, tutti abbiamo brutti ricordi di esperienze con persone che, per il solo fatto di rivestire nella gerarchia sociale un ruolo legittimato da un qualsivoglia titolo (esempi a caso: insegnanti, controllori, infermieri, portinai, perpetue, impiegati del catasto, vigili urbani…) hanno fatto la voce grossa con noi, sia che fossero “nel giusto” o meno, intimidendoci e facendoci entrare in un circolo vizioso per cui, notoriamente, il timore di peggiorare la propria situazione precaria ingigantisce senza ragion d’essere il ruolo del prevaricatore. Cucchi si è trovato in un brutto affare di questo tipo e ci ha rimesso la vita, vittima dei pregiudizi e dei giudizi senza tribunale sul suo presente e sui suoi trascorsi.
Cucchi Stefano non era uno stinco di santo, ma è morto in una maniera terribile. Stefano è stato condannato senza appello a morire da solo, dolorosamente, probabilmente pieno di rabbia, dubbi e sensi di colpa.
Cucchi è uno dei tanti, di cui sicuramente non abbiamo notizia e coscienza, che perisce sotto i colpi, fisici o meno, di una forma mentis anomala, secondo cui la vita quotidiana si basa indiscriminatamente sui rapporti di potere fra simili.
Sulla mia pelle è un film coraggioso, perché, senza chiasso, mette tutti davanti a una scomoda domanda: “Cosa avrei fatto/cosa farei, al posto suo?”, lasciando allo spettatore la possibilità di scegliere a quale personaggio rapportarsi: Cucchi, la sorella Ilaria, un carabiniere a caso, il giudice, l’avvocato, la guardia carceraria, la dottoressa, il radiologo, ecc.
Tutti siamo parte di un sistema in difficile equilibrio e tutti abbiamo delle responsabilità: le nostre “parole, opere e omissioni” (cit.) hanno degli effetti sulla nostra vita e su quella degli altri. Raccontata sulla pelle di un morto sottoforma di brutte ecchimosi che affiorano lentamente sulla carne, la storia di Cucchi ci parla di questo, solo di questo.

4 commenti

  1. Mrs Pignon / 2 Ottobre 2018

    “Cucchi Stefano non era uno stinco di santo, ma è morto in una maniera terribile. Stefano è stato condannato senza appello a morire da solo, dolorosamente, probabilmente pieno di rabbia, dubbi e sensi di colpa.
    Cucchi è uno dei tanti, di cui sicuramente non abbiamo notizia e coscienza, che perisce sotto i colpi, fisici o meno, di una forma mentis anomala, secondo cui la vita quotidiana si basa indiscriminatamente sui rapporti di potere fra simili.”

    Concordo in pieno sulle tue parole e riflessioni, avendo seguito tutta la vicenda dai social e dai mass media ma mai ho sentito quell’ingiustizia, quel dolore come ho sentito durante la visione del film. E quando esci dalla sala sei pervaso da tante sensazioni per nulla positive.

    • Stefania / 2 Ottobre 2018

      @zaitochi: idem. Ho seguito la vicenda fin da quando è stata resa nota dalla stampa. Alla fine del film, ero davvero scossa. Per questo penso che il lavoro di Cremonini abbia un valore sociale: non è un film “schierato”, la sua intenzione mi sembra solo quella di mostrare cosa può succedere a chiunque quando, oltre a praticare la violenza, le altre persone si girano dall’altra parte (per i motivi più svariati).

      • Mrs Pignon / 4 Ottobre 2018

        Si Cremonini ha fatto una fotografia chiara semplice senza retorica e la scelta di non fare vedere il pestaggio è stata una scelta dal mio punto di vista giusta. Sempre per rimarcare ancora di più il fatto che dopo il pestaggio la vita di Cucchi è entrata in un limbo di indifferenza totale. Ed anche l’immagine di Cucchi con questo carattere scorbutico, testardo che non lo rende simpatico, ma non cambia la sgradevole sensazione che ti porta addosso quando finisce la visione.

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