Strategia del ragno: favole e rimozioni / 13 Aprile 2015 in Strategia del ragno

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

(Riflessioni sparse)

Si tratta di un film affascinante, ipnotico, misterioso, che mescola sogno e realtà in maniera capace, ambigua e sottile e che si avvale delle architetture rurali e degli elementi naturali e antropologici della Bassa attribuendo loro valenze psicanalitiche e notevoli rimandi pittorici, dal Ligabue dei titoli di testa, passando per Magritte, fino a De Chirico, con quelle piazze piene di vuoti, apertamente metafisiche, popolate di assenze, di ombre e di personaggi privi di identità, quasi senza volto.

In questo racconto, nulla è certo, né definito, a partire dalla collocazione storica.
Il fatto che gli attori interpretino i personaggi sia in epoca presente che passata incrementa il senso di indeterminazione temporale che, sottolineata nella sconvolgente sequenza finale, è la chiave di volta del film: Athos Jr. è in stazione, i treni che dovrebbero condurlo lontano da Tara sono in progressivo ritardo, quel giorno i quotidiani non sono arrivati nell’edicola locale, l’erba sulle rotaie è alta e fitta.
Da quanto tempo Athos Jr. si trova a Tara? Perché non riesce ad allontanarsi da quei luoghi? E Tara è un luogo reale o immaginato, è forse solo un posto in cui egli ha riversato le proprie proiezioni edipiche, di odio-amore, nei confronti di un padre mai conosciuto?

In generale, Strategia del ragno parla di rimozione della memoria e di conflitto con i propri padri, il che può essere esteso dalla storia di Athos a quella dell’Italia del dopoguerra, in perenne (ed attuale) conflitto con un passato dualista.
Qual è la sottile differenza tra un infame ed un eroe? Quali sono i parametri che permettono di stabilire il valore di un uomo e di quantificare la portata di gloria postuma che gli deve essere dedicata?
Il “sacrificio” di Athos Sr. è contorto e spiazzante: compiere un tradimento, per giustificare la propria morte, così da poter offrire al popolo un martire ed un simbolo della lotta antifascista. Ma il suo gesto è stato calcolato in tale maniera fin dal principio, o nel sacrificio ha trovato una improvvisa e “accomodante” scappatoia?

Ogni dettaglio converge verso il centro di un progetto folle entro cui si dibatte Athos Jr.: egli è la mosca catturata dal ragno (il padre, la memoria del padre), immobilizzata nella sua tela (Tara, costruita su misura per ricordare vita, morte e miracoli del Magnani, dalla toponomastica ai luoghi-simbolo), fagocitata lentamente (la scoperta dei dettagli relativi alla morte di Athos), in un progressivo annullamento di identità e personalità (la sua somiglianza con il padre, alla fine, è ormai superflua, gli Athos si fondono: il marinaio lo saluta chiamandolo per nome ed egli risponde tranquillamente, come se lo conoscesse, come se fosse una cosa normale), ed infine uccisa (l’impossibilità di andare via da Tara).

Strepitosi i luoghi ed i volti scelti da Bertolucci: la tradizione agreste emiliana sembra essere contesto fondante di una fiaba tragica che, come in un viaggio dell’eroe, conduce il protagonista alla corte di una strega bellissima e pazza, affinché risolva un enigma e resti per sempre in una dimensione sospesa, unico giovane in un mondo di donne sole o invisibili, di vecchi indecifrabili e di bambini nati già grandi.

Irriconoscibile Mina nel brano Il conformista.

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