Recensione su Stoker

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Stoker: meltin’ pot gotico. / 17 Novembre 2014 in Stoker

Durante tutto il film, ho provato ad immaginare, senza peraltro riuscirci, la stessa pellicola girata con attori orientali, a casa di Park chan-Wook, ovvero, quindi, senza la pressoché completa mediazione estetica occidentale. Non nego che l’esotismo tipico di un’ambientazione asiatica ha sempre un certo qual fascino.
Nonostante una vaga incompletezza di fondo, sono rimasta affascinata dal tentativo di palese e volontario meltin’ pot formale operato dal regista sudcoreano.
Posto che Stoker sia evidentemente un prodotto di grande autocompiacimento visivo (ma sono anche del parere che, dopotutto, Oldboy, per esempio, non sia da meno), non ho trovato affatto banali e scontate le dinamiche e gli aspetti formali del film, né inutilmente rallentato il ritmo del racconto.
Il conflitto edipico della protagonista, la gelosia e la vacuità della madre, la repressione di istinti psicotici con pratiche difformi ma ugualmente inefficaci sono elementi che mi hanno decisamente intrigata.
Forte dell’ottima interpretazione di un’inquietante (e a tratti ironica) Mia Wasikowska e di un buon Matthew Goode (che, in qualche maniera, ha saputo ricordarmi le ambiguità di Anthony Perkins), Stoker allude al mondo della tragedia greca e a quello goticheggiante delle favole più truculente, à la Grimm, per intenderci (e voglio credere che non sia un caso, in questo senso, che la Wasikowska sia stata scelta dopo aver già interpretato Alice per Tim Burton), senza perdere di vista il proprio afflato asian-pop (basti pensare agli schizzi di sangue sui fiori di campo che fanno tanto Lady Snowblood).

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