Recensione su Stalker

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capolavoro filosofico / 26 Maggio 2012 in Stalker

Come spesso accade, la fantascienza rinuncia al suo abito cosmico e diviene artificio letterario per parlare dell’uomo reale. Effetto a volte contingente, in questo caso si tratta di una scelta netta e consapevole del regista, che per l’attuazione di questa esigenza non sembra voler perdere tempo.
Il futuro è misero, miseria anzi. Non troverete in Stalker la ridondante presenza di gingilli cibernetici, e nemmeno una ricerca esteticizzante volta a creare un’ambientazione futurista. I pochi elementi che collocano la trama in un mondo post bellico sono qualcosa di perfettamente riconoscibile da chiunque di noi: i detriti (umani e non) dell’impero sovietico.
In questo mondo volutamente misero e decadente, ma senza alcun fascino, tre individui intraprendono un viaggio verso un luogo magico-ultraterreno (in realtà interamente psicologico) chiamato ‘Zona’. Che non si tratti di persone ma di archetipi ci è subito chiaro, quando al loro ritrovo prima della partenza(in uno squallido bar che come nei più classici dei clichè fà da corredo alla loro spenta disperazione) decidono di dimenticare i loro nomi e di chiamarsi a vicenda per quello che sono o che vorrebbero essere: Scrittore, Scienziato (o Professore) e Stalker.
Il film è inizialmente molto lento: ci si deve abituare. Poi si entra nel vivo: inizia un cammino esistenziale, un incedere lento tra rovine e cespugli in un luogo che sono i personaggi stessi a definire pericoloso, altrimenti non lo diremmo mai. E’ un labirinto piano di trappole dice lo Stalker, eppure non una sola volta i tre sembrano davvero in pericolo. Il suo compito è guidare la gente verso la meta e riportarla indietro, e l’impressione è che essi stiano percorrendo un labirinto senza pareti, fatto di carne e di ricordi, di spontanee rivelazioni, di riflessioni sincere, ma anche di sentenze pesanti sulla vita e sull’essere umano.
Non ciò che è forte sopravvive, non ciò che resiste, ma ciò che è fragile e flessibile. La forza preannuncia la morte, la leggerezza è alito di vita. Questo dicono riferendosi agli uomini e alle piante, che crollano quando la loro corteccia è dura e crescono quando sono arbusti flessibili.
Si procede, si retrocede, non ha importanza. Una delle geniali intuizioni del film e la costante presenza sul suolo scenico di elementi che lo ricoprono e rendono difficoltoso camminare, simbolo di un passato che viene sommerso e offuscato. Ci sono ovviamente i detriti, l’erba alta, la sabbia, ma soprattutto elementi liquidi, ed è impossibile non pensare a Solaris.
Nella scena forse più poetica del film la telecamera viene fatta lentamente avanzare sul pelo dell’acqua. Un fondale basso e acquitrinoso inizia a scorrere sullo schermo, verticalmente. Ed eccoci catapultati sopra, come se facessimo il morto, a esaminare gli incredibili e non casuali oggetti che lì troviamo semisepolti: bizzarri aggeggi scientifici, monete, un icona ortodossa.
L’acqua che ricopre tutto. La vita. Il futuro che distrugge il presente.
Il film è piano di domande dal risvolto filosofico, di sentenze, persino di canzoni languide e anch’esse enigmatiche. Tutti e tre collaborano in questo psico-percorso, ma forse è lo scrittore che fornisce le riflessioni più significative. Le sue sentenze sono ciniche, amare. Sarebbero ad essere sinceri sue personali opinioni, ma egli appunto è uno scrittore e non manca di ricordarcelo. Non a caso all’inizio del film ci dice che l’unico argomento dei suoi libri sono I LETTORI, cioè noi.
La meta giunge all’improvviso. Di cosa si tratta? Letteralmente, di una camera che esaudisce i desideri, in realtà, soltanto di un altro pretesto per riflettere sui desideri umani, sulle scelte, su luoghi TERRENI come il paradiso.
Si perchè la camera esaudisce i VERI desideri dell’uomo, e non i concetti. Nessuno in quella camera chiederebbe mai la salvezza del mondo o la sua distruzione, dice lo scrittore rassicurando lo scienziato, che intendeva piazzare una bomba per distruggere questo pericoloso dono divino.
Questi due personaggi, ben costruiti, assolutamente moderni, rappresentano insieme all’ambiente ‘vivo’ la colonna portante dell’intellettualità di questo film. Essi corrono come direbbe Nietzsche ‘via da tutti i soli’, credono in una sola vita, ergono se stessi e la propria umanità di fronte alla propria disperazione. Senza vincere.
Questo loro atteggiamento farà infine piangere lo Stalker, la loro guida smarrita, che nella trama è senza dubbio l’elemento di personificazione della fede. Una fede ovviamente triste e quasi autoimposta. Senza mezzi termini: un’illusione.
Sintetizzato in un inaspettato finale il senso generico del film. Una bambina paralitica che riversa su un tavolo muove bicchieri con un potere telecinetico. Mentre dietro passa un treno sferragliando, e mescolando al suo frastuono l’inno alla gioia di Beethoven, dopo tre ore in cui non vediamo un sorriso.

Personalmente: ci sono film insignificanti, altri piacevoli ma che dimentichiamo insieme ai titoli di coda, altri che ci lasciano qualcosa. Stalker inizierà a piacervi DOPO i titoli di coda, le sue riflessioni entreranno nella vostra testa, perchè il suo percorso è enigmatico, ma assolutamente completo e coerente. Continuerà ad annoiarvi, ma non potrete fare a meno di rivederlo.

3 commenti

  1. paolodelventosoest / 5 Novembre 2012

    “Continuerà ad annoiarvi, ma non potrete fare a meno di rivederlo” , questa sì che è fantascienza! 🙂

  2. tiresia / 6 Novembre 2012

    ottimo commento, unica pecca quel “continuerà ad annoiarvi”, nel senso che ritengo impossibile che questo film annoi 🙂

  3. hartman / 4 Giugno 2015

    bellissima recensione, anche se pure io non mi sento per nulla annoiato quando guardo Stalker… anzi!

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