10 Recensioni su

Stalker

/ 19798.6195 voti

. / 1 Aprile 2019 in Stalker

È difficile scrivere qualcosa su questo film, com’è difficile interpretarlo. Personalmente, l’ho visto come il conflitto eterno tra arte, scienza e spiritualità, rappresentate dai tre uomini che si inoltrano nella Zona, alla ricerca di una stanza che dovrebbe esaudire i desideri più profondi. Un’immersione in una natura selvaggia e potenzialmente pericolosa, che pare accompagnarli e, al contrario, essere addirittura amichevole, fino al raggiungimento della stanza. Eppure non sappiamo se i tre protagonisti decideranno di entrare o meno, quasi ne hanno paura.

Una ricerca istancabile della conoscenza e della felicità, che non è perseguibile attraverso una strada che ti ci porta direttamente. Né la Scienza né l’Arte riescono a raggiungerla, pur tentando l’impresa, guidate dalla Spritualità che, attraverso il proprio Credo, non ha bisogno di raggiungere alcuna conoscenza e alcuna felicità, perché si basta già così. Lo Stalker, un uomo a cui non è rimasto nulla, è come se riuscisse a trovare dio in quella Zona e il rapporto tra lo Stalker e la Zona stessa è molto vicino a quello che gli uomini hanno con dio: ne hanno timore, come lo Stalker, che segue con zelo le “indicazioni” della Zona (il non poter rifare la stessa strada al contrario, il dover girare intorno alla stanza prima di raggiungerla) temendone le ritorsioni, ma allo stesso tempo è la Zona stessa a sembrare disinteressata e a non le importa assolutamente del cammino dei tre personaggi. D’altra parte ho visto lo scenario naturale come una sorta di ritorno alle origini e un avvicinamento a quella natura che sembra avere tutte le risposte. Nella scena in cui lo Stalker torna a casa con la figlia, la moglie e il cane, viene inquadrata la realtà industriale, in contrapposizione con la realtà idilliaca rappresentata dalla Zona.

Lo Stalker torna a casa amareggiato, si comporta quasi come un prete che tenta di fare proselitismo del proprio Credo: accompagna le persone nella Zona sperando che anche in loro scatti quella venerazione, come se fosse un profeta, ma si rende conto che nessuno lo comprende. Critica lo Scrittore e il Professore perché hanno una missione, ma non capisce di essere anche lui un essere umano e, inconsciamente, sta portando avanti una missione proprio come gli altri uomini.

Bella la figura del Porcospino, che viene messo davanti alla sua crudeltà e viene sconfitto dalla coscienza. Non mi è ben chiaro invece il ruolo della figlia paralitica e nemmeno i suoi superpoteri.

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Miglior film di sempre / 9 Novembre 2017 in Stalker

Un film di fantascienza che, senza nessun effetto speciale, mostra l’altro e l’ignoto come non sono mai stati mostrati, con immagini che entrano nelle zone buie della psiche, suggestionando, affascinando, inquietando, trasfigurandosi in quadri di struggente bellezza. Consigliato a tutti quelli che sono interessati al cinema come linguaggio d’arte

. / 30 Aprile 2016 in Stalker

Il cinema è di tutti ma non per tutti.
“Stalker” passa in un secondo, colpisce come un proiettile lo spettatore e lo cambia, lo trasforma. Tutto ciò perchè la pellicola di Tarkovskij ha una, possiamo dire, trama a fare da supporto al messaggio e alla filosofia di cui è intrinseco. La religione, l’uomo e la scienza si scontrano e vanno a braccetto incontro ai propri fantasmi e vanno a confrontarsi con loro stessi. Chi uscirà migliore dalla “Zona”? Nessuno. Tutti si inginocchieranno difronte all’ignoto, al superiore per contemplarlo e per rassegnarsi.

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22 Agosto 2015 in Stalker

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Capolavoro del regista russo Andrej Tarkovskij, Stalker (1979) liberamente tratto dal romanzo “Picnic sul ciglio della strada” (1971) dei fratelli Strugackij. Tarkovskij aveva già realizzato in ambito fantascientifico un altro capolavoro, “Solaris” (Soljaris, URSS 1972), all’epoca strillato equivocamente nei cartelloni come la risposta sovietica al “2001 – Odissea nello spazio” (2001: A Space Odyssey, USA 1968) di Kubrick. All’interno di un territorio rurale, chiamata semplicemente “Zona”, sconvolta da un evento non meglio precisato, forse la caduta di un meteorite o forse il passaggio di un’astronave extraterrestre, si creda esista una “stanza” capace di esaudire qualsiasi desiderio. La zona è interdetta e recintata, perché strane cose accadono al suo interno e molte persone sono scomparse. Solo gli Stalker si avventurano in quel territorio, delle guide che accompagnano chiunque voglia cercare di raggiungere la stanza dei desideri. Il film segue il viaggio di uno di loro nella sua missione di portare all’interno della “Zona” uno scrittore fallito in cerca di ispirazione e un professore spinto dalla curiosità scientifica. Tre personaggi senza nome che sembrano rispondere alla rappresentazione della fede, dell’arte e della scienza, ma che una volta giunti in prossimità della “camera dei desideri”, non hanno il coraggio di entrarvi. Nel finale, lo stalker torna a casa dalla moglie e dalla figlia paralizzata agli arti inferiori, bambina che inizia a mostrare poteri telecinetici, risultato forse del desiderio inconscio captato dalla stanza al padre. Un film dal ritmo lento e ipnotico, fuori da logiche narrative convenzionali, inframmezzato da lunghi discorsi filosofici tra i protagonisti nello scenario di un paesaggio desolato. Una riflessione piena di metafore sulla fede, sulla speranza e sull’uomo messo davanti all’arcano.

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4 Giugno 2015 in Stalker

La Zona è la vita.
La Zona è la fede.
Che cos’è la Zona?
Come soltanto i grandi film di fantascienza sanno fare, Stalker lascia cullare lo spettatore nelle proprie, personalissime, interpretazioni fornendo una solidissima base di immagini e concetti misteriosi.
In ciò, questo capolavoro di Tarkovskij può essere assimilato al 2001 di Kubrick e a pochissimi altri film memorabili che, ancora oggi, non smettono di affascinare il cinefilo in cerca dell’essenza della settima arte, ricerca nella quale troppo spesso si deve scendere ad inaccettabili compromessi.
Poi ti capita di vedere Stalker e capisci che allora quello che cercavi era proprio questo, quell’ineffabile sensazione di trovarsi di fronte ad un capolavoro, come quando si è davanti al David di Michelangelo o alla Cappella degli Scrovegni.
Tecnicamente, Tarkovskij è un assoluto fuoriclasse e lo dimostrano i fantastici movimenti di macchina, gli intensi piani sequenza, le lente carrellate avanti e indietro riprese dall’alto (memorabili quella iniziale e quella sopra il torrente).
Un autentico fenomeno deve essere stato anche il Direttore della fotografia, che lo ha accompagnato in quest’impresa: il suo nome è Aleksandr Knyazhinskij, ossia uno sconosciuto (per molti), ma almeno una menzione era necessaria per colui che ha curato la più bella fotografia in cui mi sia mai imbattuto.
Toni scialbi, ma con forte contrasto, che dal bianco e nero virano sull’ocra, sul seppia o sul verde insaturo. Le uniche scene a colori (ma anch’essi molto insaturi) sono quelle girate nella Zona e le riprese della figlia dello Stalker.
Le immagini, i colori, le luci, le ombre, sono dosati con una maestria che non ha pari. È una vera estasi per il nervo ottico, un sollucchero dei sensi.
Altro aspetto impressionante sono le scenografie distopiche e sudicie, ma totalmente affascinanti, curate dallo stesso Tarkovskij.
Costruzioni tipiche della vecchia Unione Sovietica, e poi le ambientazioni della Zona, apocalittiche e incredibilmente suggestive.
Come se Tarkovskij avesse avuto una premonizione sul disastro di Chernobyl, intravediamo anche una centrale nucleare avvolta dalle nebbie.

Ma Stalker non è soltanto questo.
Non è solo un disarmante prodigio di estetica su pellicola.
È anche e soprattutto contenuto.
È filosofia e religione.

Gli “Stalker” sono le guide che accompagnano nella Zona quei pochi temerari che non riescono a sfuggire al richiamo di questo profondo mistero: un’area geografica, forse perché colpita da un meteorite o chissà per quale altra causa, si è misteriosamente trasformata in una Zona da cui le persone non fanno ritorno e nella quale, secondo alcuni, è presente una Stanza in cui gli uomini possono esaudire i loro più reconditi desideri.

“Che cos’è stato? La caduta di un meteorite? La visita di abitanti dell’abisso cosmico? Sta di fatto che nel nostro piccolo paese è comparso uno straordinario prodigio: la Zona. Ci abbiamo mandato subito dei soldati. Non sono tornati. Allora abbiamo circondato la Zona con un cordone di polizia… E probabilmente abbiamo fatto bene. Del resto, non lo so, non lo so…”

Nella Zona decidono di avventurarsi due persone completamente diverse tra loro, un fisico, che si farà chiamare il “Professore”, e lo “Scrittore”, che simboleggiano, rispettivamente, la scienza e le virtù intellettuali umanistiche.
Si fanno accompagnare da uno Stalker che, come gli altri suoi simili, è un reietto della società: vive in estrema povertà con il fardello di una figlia disabile (“mutante” affermano il Professore e lo Scrittore, a causa della Zona).
Una volta superato il cordone di polizia, i tre entrano nella Zona e da quel momento un’angoscia opprimente pare dominare ogni movimento, ogni istante della loro esperienza.
La Zona sembra infarcita di trappole, sembra un posto pericolosissimo, come stanno a testimoniare i carri armati oramai arrugginiti abbandonati disordinatamente dall’esercito.
Eppure non succede nulla, se non un costante aumento della tensione, man mano che ci si avvicina alla Stanza.
Giunti di fronte ad essa i dialoghi tra i tre toccano punte di profonda saggezza.
La logica scientifica del Professore, il razionalismo filosofico dello Scrittore, la visione religioso-strumentale dello Stalker.
L’anticamera della Stanza è il luogo dove si compie lo showdown, la resa dei conti psicologica di tre visioni completamente diverse dell’esistenza.

Un film sicuramente da rivedere più volte, anche se basta la prima per rimanere spiazzati e al contempo incredibilmente affascinati.
A mio avviso la lingua originale, con sottotitoli, esalta ulteriormente la pellicola, sia perché il doppiaggio non è eccezionale, sia perché conferisce quel tocco di esotico alle vicende, con la durezza della parlata russa che ben si adatta al ruolo di estraniante sottofondo.
Stalker è semplicemente uno dei film più belli della storia del cinema, una pellicola potentissima e destabilizzante che cambierà la stessa idea di cosa è realmente (e cosa può essere) il cinema.

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DEUS SIVE NATURA / 12 Dicembre 2013 in Stalker

In un mondo ingrigito, infecondo, nebbioso, colmo delle macerie umane, dove tra gli edifici diroccati e tra gli acquitrini va languendo una civiltà sempre più estranea a se stessa – qui, dunque, esiste ancora un luogo indomito, temuto dai Governi: esso nella vaghezza del silenzio è battezzato come la Zona, e appare recintato, pattugliato, ma ancora vivo, ancora portatore di una sacralità che palpita tra le selve e i fiumiciattoli sparsi nel cuore dei villaggi disabitati. Eppure la Zona è anche un luogo assai pericoloso, forse il più pericoloso che rimanga, poiché sotto l’influsso di un’energia misterica, di probabile origine extraterrestre, gli inganni e i rischi mortali mutano in continuazione – e come un monito, sulle alture, le carcasse di alcuni carri armati trasmettono la propria fallimentare impotenza al cospetto di qualcosa di infinitamente più grande, di profondamente più antico. Ciò nondimeno, vi sono degli uomini, gli Stalker, a conoscenza delle segrete vie che conducono nell’epicentro della Zona, laddove una cosiddetta Stanza permette ai più infelici di realizzare i desideri che dimorino nell’intimità recondita dei loro animi. Ed è proprio ad uno Stalker (Aleksandr Kajdanovskij), padre di una bimba mutante, che si rivolgono due individui, uno Scrittore ed un Professore (quest’ultimo in realtà un Fisico), per raggiungere la miracolosa Stanza, e veder lì soddisfatte le proprie volubili nonché torbide ambizioni.
Sette anni dopo “Solaris”, riadattando il romanzo “Picnic sul ciglio della strada” dei fratelli Arkadij e Boris Strugackij, Tarkovskij si reimmerge in una fantascienza intrisa di umanesimo e di uno spiritualismo catartico, ben lungi dagli approdi filosofico-estetici del Kubrick di “2001 – Odissea nello Spazio”. La fantascienza del regista russo, infatti, depotenzia gli estremismi visivi e cromatici del collega statunitense, proiettando la visionaria dimensione narrativa dentro i corpi lacerati, deformi e afflitti dei vari personaggi, e amplificandone la potenza simbolica tramite una pacatezza quanto mai lirica, una quiete, una staticità sempre fedele dell’ambiente circostante: i movimenti progressivi e spesso impercettibili della macchina da presa, le morbide carrellate, i piani sequenza, le lentissime zoomate che espandono o rinchiudono il quadro dell’immagine, man mano, senza che lo spettatore ne assuma una vera coscienza. Al contempo si può passare, così, da un intenso e contrastato bianco e nero, ad una sfumatura di seppiato, fino ai colori poco limpidi e velati – ma nulla più di questo, e soprattutto, mai contravvenendo ad un’armonia che ha fatto della sobrietà la propria nota dominante.
Se un conflitto ed una tensione esistono – e difatti vi sono, enormi – essi bruciano sottopelle nella psicologia arida e frustrata del Professore (Nikolaj Grin’ko) e dello Scrittore (Anatolij Solonicyn), mentre l’incomunicabilità della bellezza, l’inspiegabilità della fede, il poetico e malinconico misticismo quasi pagano dello Stalker lo rendono, a tutti gli effetti, l’ultimo sacerdote al quale sia stato affidato un culto sepolto e temuto.
Ormai non ci troviamo più, come in “Solaris”, a bordo di una stazione spaziale dominio del nostro inconscio, né dinanzi ad un Pianeta-Dio con cui instaurare un ignaro contatto; il nostro interlocutore muta, cioè, dall’essere un Nous creatore e generoso, in un “Deus sive Natura” col rigore austero e sanguinario tipico del Dio ebraico, sebbene elargitore comunque di doni immensi (ovvero i profondi desideri esauditi presso la Stanza). Mentre su Solaris le reliquie umane non esistono ancora, o vengono inghiottite e plasmate dal magma cerebrale alieno, all’interno della Zona, invece, i relitti della civiltà sono sopraffatti, nascosti nell’acqua, tra le fenditure da cui irrompono turbinose cascate, laddove i pavimenti di quelle che un tempo furono chiese giacciono ora sommersi dallo stagno e dal muschio. La volontà della Zona, dunque, è di preservare, seppur consumando – di purificare nel sacrificio. E lo Stalker accetta questa funzione, sino quasi a venerarla, senza chiedere null’altro che i soldi per mantenere la propria famiglia: sazio della speranza e di quei sogni altrui, che, tramite la sua mediazione, trovano accoglienza nel tempio; e infine abbattuto su di un giaciglio, come febbricitante, dolendosi poiché l’Uomo, avvelenato dalla saccenteria dell’intelletto, non crede più in nulla ed anzi ha terrore del desiderio.
La narrazione sfilacciata, totalmente atemporale, dilatata sino all’estremo, gode quindi di un commento sonoro lieve nel riverbero: un flauto lontano, appena accennato; per poi giungere, infine, all’esplosione d’una Nona Sinfonia, che funga da riscatto alla squallida vacuità umana.

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2 Agosto 2012 in Stalker

digerito in quattro tempi, questo film pesantissimo è intriso di una poesia e profondità di pensiero tale da spingere inesorabilmente allo sbadiglio, al sonno o al gesto inconsulto (la distruzione dell’audiovisivo in questione). le lentissime zoomate russe ci accompagnano (è un eufemismo, in realtà arrancano) verso la misteriosa Zona, una misteriosa stanza sita in un misterioso posto infestato di misteriose e lussureggianti erbacce. la Zona ha il potere di esaudire i desideri degli astanti, ma ovviamente il tutto non sarà semplice. sarà lento. sarà doloroso. sarà estenuante. per lo spettatore, dico, perchè ai tre protagonisti (lo stalker, o guida, il professore e lo scrittore) non accadrà un bel niente per la bellezza di due ore e mezza. parleranno parecchio, cammineranno in circolo, ogni tanto voleranno ceffoni ma questo è tutto. anzi, no: ad un certo punto arriverà un cane, nero e misterioso, e sarà un grosso avvenimento ma mi sfugge il perchè. sorvoliamo quindi sul finale insensato dall’ancor più insensato accompagnamento musicale (l’inno alla gioia? perchè, santoddio?) e soffermiamoci un istante sull’unico aspetto interessante del film: la fotografia. i brevi inserti di bianco e nero, virato seppia, sono da applauso: oltre a caricare di pathos una scenografia cupa dalla connotazione decisamente apocalittica, ha l’innegabile merito di intensificare il tormento interiore degli interpreti (bravi, tra l’altro); il tutto è accompagnato da delicate melodie decisamente in tono con l’ambiente e i personaggi per drammaticità e aspettative. la mia sufficienza è data solo da quest’ultimo aspetto tecnico ma consiglio la visione perchè a) pare trattasi di capolavoro cinematografico, e chi sono io per affermare il contrario? e b) a sorpresa potrebbe piacervi.

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capolavoro filosofico / 26 Maggio 2012 in Stalker

Come spesso accade, la fantascienza rinuncia al suo abito cosmico e diviene artificio letterario per parlare dell’uomo reale. Effetto a volte contingente, in questo caso si tratta di una scelta netta e consapevole del regista, che per l’attuazione di questa esigenza non sembra voler perdere tempo.
Il futuro è misero, miseria anzi. Non troverete in Stalker la ridondante presenza di gingilli cibernetici, e nemmeno una ricerca esteticizzante volta a creare un’ambientazione futurista. I pochi elementi che collocano la trama in un mondo post bellico sono qualcosa di perfettamente riconoscibile da chiunque di noi: i detriti (umani e non) dell’impero sovietico.
In questo mondo volutamente misero e decadente, ma senza alcun fascino, tre individui intraprendono un viaggio verso un luogo magico-ultraterreno (in realtà interamente psicologico) chiamato ‘Zona’. Che non si tratti di persone ma di archetipi ci è subito chiaro, quando al loro ritrovo prima della partenza(in uno squallido bar che come nei più classici dei clichè fà da corredo alla loro spenta disperazione) decidono di dimenticare i loro nomi e di chiamarsi a vicenda per quello che sono o che vorrebbero essere: Scrittore, Scienziato (o Professore) e Stalker.
Il film è inizialmente molto lento: ci si deve abituare. Poi si entra nel vivo: inizia un cammino esistenziale, un incedere lento tra rovine e cespugli in un luogo che sono i personaggi stessi a definire pericoloso, altrimenti non lo diremmo mai. E’ un labirinto piano di trappole dice lo Stalker, eppure non una sola volta i tre sembrano davvero in pericolo. Il suo compito è guidare la gente verso la meta e riportarla indietro, e l’impressione è che essi stiano percorrendo un labirinto senza pareti, fatto di carne e di ricordi, di spontanee rivelazioni, di riflessioni sincere, ma anche di sentenze pesanti sulla vita e sull’essere umano.
Non ciò che è forte sopravvive, non ciò che resiste, ma ciò che è fragile e flessibile. La forza preannuncia la morte, la leggerezza è alito di vita. Questo dicono riferendosi agli uomini e alle piante, che crollano quando la loro corteccia è dura e crescono quando sono arbusti flessibili.
Si procede, si retrocede, non ha importanza. Una delle geniali intuizioni del film e la costante presenza sul suolo scenico di elementi che lo ricoprono e rendono difficoltoso camminare, simbolo di un passato che viene sommerso e offuscato. Ci sono ovviamente i detriti, l’erba alta, la sabbia, ma soprattutto elementi liquidi, ed è impossibile non pensare a Solaris.
Nella scena forse più poetica del film la telecamera viene fatta lentamente avanzare sul pelo dell’acqua. Un fondale basso e acquitrinoso inizia a scorrere sullo schermo, verticalmente. Ed eccoci catapultati sopra, come se facessimo il morto, a esaminare gli incredibili e non casuali oggetti che lì troviamo semisepolti: bizzarri aggeggi scientifici, monete, un icona ortodossa.
L’acqua che ricopre tutto. La vita. Il futuro che distrugge il presente.
Il film è piano di domande dal risvolto filosofico, di sentenze, persino di canzoni languide e anch’esse enigmatiche. Tutti e tre collaborano in questo psico-percorso, ma forse è lo scrittore che fornisce le riflessioni più significative. Le sue sentenze sono ciniche, amare. Sarebbero ad essere sinceri sue personali opinioni, ma egli appunto è uno scrittore e non manca di ricordarcelo. Non a caso all’inizio del film ci dice che l’unico argomento dei suoi libri sono I LETTORI, cioè noi.
La meta giunge all’improvviso. Di cosa si tratta? Letteralmente, di una camera che esaudisce i desideri, in realtà, soltanto di un altro pretesto per riflettere sui desideri umani, sulle scelte, su luoghi TERRENI come il paradiso.
Si perchè la camera esaudisce i VERI desideri dell’uomo, e non i concetti. Nessuno in quella camera chiederebbe mai la salvezza del mondo o la sua distruzione, dice lo scrittore rassicurando lo scienziato, che intendeva piazzare una bomba per distruggere questo pericoloso dono divino.
Questi due personaggi, ben costruiti, assolutamente moderni, rappresentano insieme all’ambiente ‘vivo’ la colonna portante dell’intellettualità di questo film. Essi corrono come direbbe Nietzsche ‘via da tutti i soli’, credono in una sola vita, ergono se stessi e la propria umanità di fronte alla propria disperazione. Senza vincere.
Questo loro atteggiamento farà infine piangere lo Stalker, la loro guida smarrita, che nella trama è senza dubbio l’elemento di personificazione della fede. Una fede ovviamente triste e quasi autoimposta. Senza mezzi termini: un’illusione.
Sintetizzato in un inaspettato finale il senso generico del film. Una bambina paralitica che riversa su un tavolo muove bicchieri con un potere telecinetico. Mentre dietro passa un treno sferragliando, e mescolando al suo frastuono l’inno alla gioia di Beethoven, dopo tre ore in cui non vediamo un sorriso.

Personalmente: ci sono film insignificanti, altri piacevoli ma che dimentichiamo insieme ai titoli di coda, altri che ci lasciano qualcosa. Stalker inizierà a piacervi DOPO i titoli di coda, le sue riflessioni entreranno nella vostra testa, perchè il suo percorso è enigmatico, ma assolutamente completo e coerente. Continuerà ad annoiarvi, ma non potrete fare a meno di rivederlo.

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Capolavoro, non basta / 11 Settembre 2011 in Stalker

Sono certamente la persona meno adatta a scrivere qualcosa di questo film, non tanto perché mi è piaciuto fino all’inverosimile – succede – ma perché l’ho proprio amato, l’ho trovato perfetto, ho ripetuto e riportato intere battute fino alla nausea, ho riguardato micro sequenze in preda a una “dipendenza” da emozioni e appagamento narrato-visivo difficilmente eguagliata, l’ho visto almeno 6 o 7 volte (in pellicola – e malridotta al punto da rovinarsi gli occhi, visto che per poterlo “avere” non restava che duplicare i VHS già troppo visti delle videoteche), perché mi sono identificata, perché avrei voluto scriverlo io, perché ho letto tutto il leggibile su di esso e la maggior parte delle volte non mi sono trovata d’accordo, perché…

è poesia in immagini, è poesia in parole, è profondo sguardo nell’animo umano, perché è vera narrazione – quando cioè un racconto (qualunque sia il medium) diventa la metafora per dire qualcosa di essenziale sull’essere umano e l’esistenza

perché…
so cosa significa “essere uno stalker”: ai bordi di una società che non sa che cosa farsene di chi vede troppo lontano e per di più non vuole la gloria (che scemi, eh?); in comunione con ciò che ti circonda (un mondo che in un modo o nell’altro – e spesso indecifrabile ma non per questo meno percepibile – possiede un’anima) senza avere la possibilità di esprimerlo e condividerlo davvero se non attraverso metafore comunque inadeguate (e con un’audience ridicola in proporzione ai bipedi deambulanti sulla Terra – ma deambulanti, sigh, non è pensanti); dandosi compiti per lo più incompresi e perseguiti al limite della sopravvivenza (del resto proprio non tenendoci affatto a gesti radicali ammantati di un romanticismo bohèmien per tentare di farli apparire nobili, ma che di fatto “mancano il punto”)…

Insomma, come dicevo prima, sono la persona meno adatta a parlare di questo film in quanto tale, perché per me è stato un’esperienza, e posso solo consigliarlo, certo a chi ha un minimo di disposizione da “entronauta” o un grande amore per le opere sinestesiche, che ti coinvolgono durante la visione chiamando in causa tutti i sensi – spirito compreso, perché…
Stalker non è un film per tutti (forse). E’ Tarkovskij.

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15 Febbraio 2011 in Stalker

Ho ripescato da anfratti che avevo quasi scordato questo memorandum sul film in questione, visto diversi anni fa (almeno quattro, mi sa), nell’ambito di un cineforum organizzato da un mio ex-professore.
Sinceramente, non ricordo quasi nulla di questa pellicola, se non che ha una fotografia davvero bella (ed il mio voto è dovuto praticamente a quel che ricordo di essa).
Pubblico questo brano come promemoria, per visioni future.

Stalker: persona che incede maestosamente. Ammappate.
Titoli gialli in cirillico e due ore e mezza di nulla incomprensibile. Ecco, cosa ricorderò -ahimé- di questo film.
Il paradosso, però, è che non si tratta di una brutta pellicola: mano registica ferma e gran tecnica, fotografia strepitosa e scenografie da brivido (paesaggi liminali, con vegetazione incolta e avvolgente; manufatti edilizi di foggia socialista/squallor diroccati al punto da essere indiscutibilmente affascinanti, benché distopici -uah uah, paroloni da architetto-; cieli cupi, pesanti, soffocanti ed inclementi).
Però, santa polenta, un ritmo che definire soporifero è poco.
Cosa sarà mai, questa Zona? E’ reale? Si tratta di una dimensione parallela? Come è nata? Perché solo alcuni individui possono condurne altri, laggiù, col ruolo di stalkers? Come si diventa stalkers?
Ma, soprattutto, perché non esistono detersivi ed un elementare concetto di igiene, e tutto è incrostato che neanche un tir di Cillit Bang potrebbe salvare la situazione?
Ho vissuto un solo momento emozionante. Cioè, quando la Zona ha modificato i parametri, le coordinate e per ben tre volte ha deciso di far attraversare ai protagonisti lo stesso tratto di strada, a ridosso di una specie di cascata, una roba davvero inquietante, acci acci.
Affascinanti, le parentesi oniriche, virate sul seppia, con quel bel cane nero che faceva molto Lynch…
Insomma, ad un certo punto, però, lo confesso, mi sono perfino addormentata: due minuti o poco più, ma ho ceduto.
Mi sono sentita molto fantozziana, pensando inevitabilmente alla Corazzata Potemkin…
Un film troppo cervellotico e criptico, per me.

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