“Nostalgia, nostalgia canaglia” / 25 Aprile 2021 in Sposerò Simon Le Bon - Confessioni di una sedicenne

Sarà pure un film tamarro, precursore di roba immonda come “tre metri sopra il cielo” e “Troppo belli” ma io lo riguardo ogni volta con affetto data la mia nostalgia nei confronti di quello che è stato il decennio più bello per noi nati a cavallo tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80.

Dagli anni Ottanta con squallore / 3 Novembre 2014 in Sposerò Simon Le Bon - Confessioni di una sedicenne

A ripensarci sembra incredibile, ma negli anni Ottanta, il peggior decennio a memoria d’uomo, quello in cui la vacuità la faceva da padrona, il cinema italiano era ridotto così male da sfornare schifezze invereconde come “Sposerò Simon Le Bon”. Ve li ricordate, quei tempi? Erano gli anni della Milano da bere, di DeeJay Television, del Moncler, delle Timberland, del Drive In, dei paninari, dei metallari, dei capelli cotonati e, soprattutto, dei Duran Duran, il gruppo proveniente dall’Inghilterra e capitanato da Simon Le Bon che all’epoca in Italia godeva di un seguito impressionante.
Se avete una certa età, diciamo almeno trentacinque primavere, non potete non ricordare il delirio che scatenavano i Duran Duran in quel periodo. Orde di ragazze impazzivano per loro; ogni volta che Le Bon & Co. mettevano piede nel nostro Paese le fanciulle diventavano matte e le scene di isteria si sprecavano. Non c’era niente che si potesse fare: allora le giovani andavano in estasi tutte le volte che vedevano i loro idoli musicali.
Poco importa che la tecnica strumentale del gruppo in questione fosse tutt’altro che eccelsa e che la voce del cantante fosse scarsa: nonostante non valessero granché, i Duran Duran vendevano badilate di dischi, tutto quello che incidevano si trasformava in oro (commercialmente parlando) e il pubblico (specialmente quello femminile) si divideva tra loro e gli Spandau Ballet, altra band inglese che scatenava l’entusiasmo delle donzelle.
Detto delle limitate capacità strumentali e vocali dei Duran Duran, bisogna però ammettere che questi ultimi qualcosa di decente l’hanno fatto: ad esempio, “Save a Prayer”, “Planet Earth” e “The Chauffeur” sono brani dignitosi, e “Rio” (1982) è un album decoroso e ascoltabile, sicuramente il migliore del gruppo (ancora in piena attività, tra abbandoni e ritorni) formatosi nel lontano 1978 in quel di Birmingham. Stendiamo un velo pietoso, invece, su canzoni come “The Wild Boys” e “The Reflex”, che definire mediocri è un eufemismo (soprattutto la prima, con la voce di un urlante Simon Le Bon che oltre ad irritare rischia di rompere i timpani).
A testimonianza di quanto fosse infausto quel periodo (con il senno di poi, si può dire che per il nostro Paese gli anni Ottanta siano stati l’inizio della fine) e di quanto fosse radicato e diffuso il fenomeno della “Duranmania” in Italia, c’è questo filmetto del 1986 diretto da tale Carlo Cotti, che prende spunto dall’omonimo romanzo (?) di Clizia Gurrado, un’adolescente (che ha il volto di Barbara Blanc) innamorata persa del suddetto Simon Le Bon, che non fa altro che pensare al suo cantante preferito dalla mattina alla sera, suscitando in questo modo la disperazione dei genitori e del fratello minore, Gipo (Saverio Tani), il quale, dal canto suo, adora Madonna e l’Inter di Karl-Heinz Rummenigge.
Parlare male di questo pseudo film sarebbe come sparare sulla Croce Rossa. Dire che “Sposerò Simon Le Bon” è di una bruttezza più unica che rara è fin troppo facile, dato che trattasi di stronzata di proporzioni bibliche. La regia è inesistente, la recitazione talmente infima da non arrivare nemmeno alla decenza e la sceneggiatura (dello stesso regista) infila una stupidaggine dietro l’altra al punto da sembrare scritta da un decenne (a voler essere generosi).
La cosa che stupisce maggiormente è che ancora oggi questa roba vomitevole ad alcuni non dispiace affatto. Mah… Misteri della mente umana. Per chi fosse interessato a saperlo, Claudio Cecchetto, Kay Rush e Simona Izzo compaiono nella parte di se stessi. Orrendo, inguardabile, inutile. Per farla breve, una ciofeca colossale, un’agghiacciante e ridicola pellicola derivante da un’epoca lontana e tremenda che, si spera, non tornerà mai più. Un terrificante filmaccio da prendere, buttare nel cesso e tirare lo sciacquone.

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