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Io ti salverò

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Amore e psiche / 3 Luglio 2014 in Io ti salverò

Ottimo psico-thriller che a mio avviso segna una certa raffinatura di Hitchcock rispetto ai lavori precedenti. Se si spoglia il film degli orpelli romanzeschi tipici di quegli anni, ulteriormente infiocchettati dal consueto forbitissimo italiano del doppiaggio, rimane intatta la cupa torbida storia del caparbio amore tra una gelida dottoressa – brillante ma priva di emozioni – e il suo schizofrenico paziente accusato di omicidio. Molto brava la Bergman, Gregory Peck è pur sempre una garanzia sebbene qui tenda un po’ a strafare nella parte dell’alienato, magnifica parte per Michael Chekhov (nipote di cotanto Zio) nei panni del buon vecchio psicanalista un po’ squinternato. Riconoscibilissima la mano di Salvador Dalì nella sequenza onirica, ma onestamente non è che aggiunga ‘sto granchè a una pellicola davvero ben costruita, uno dei tanti giocattolini gialloneri usciti dal genio di Hitchcock, non tra i più celebrati.
Ho scoperto solo alla fine che il soggetto deriva da un romanzo della coppia di scrittori britannici che scrive sotto lo pseudonimo di Francis Bleeding; autori peraltro di uno dei miei gialli preferiti, La morte cammina per Eastrepps. Wow!

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7 Luglio 2013 in Io ti salverò

Non male. un pò lento all’inizio. ma poi riprende il ritmo.

9 Maggio 2012 in Io ti salverò

Alfred Hitchcock si cimenta nel mondo della psicoanalisi e inventa un thriller notevole (1945 non dimentichiamolo…) con intreccio tra passato e omicidio che non guasta mai nelle sue opere. E poi come perla direi che il sogno del protagonista non poteva essere meglio interpretato se non grazie alla scenografia di Salvator Dalì (il quale io amo da sempre…). Molto carino e il solito finale.
COme sempre oltre al film c’è sempre da trovare in quale scena Hitchcock si farà vedere.
Bello.

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Il grande Hitchcock alle prese con un thriller psicoanalitico / 11 Giugno 2011 in Io ti salverò

Un uomo con problemi psichici, John Ballantine, è convinto di essere il responsabile della morte del dottor Edwards. Quando questi viene chiamato a dirigere un manicomio in sostituzione di un suo collega, Murchison, John assume l’identità del medico defunto e si presenta all’istituto al suo posto. Egli, però, è ossessionato dalla visione del bianco e delle linee parallele, che risvegliano in lui un trauma del suo passato. A causa di ciò, ben presto l’uomo comincia a dare evidenti segni di instabilità mentale che finiscono per rivelare la sua vera identità. La dottoressa Constance Petersen, che nel frattempo si è innamorata di lui, è convinta della sua innocenza, perciò quando la polizia cerca John per arrestarlo, lei lo persuade a scappare rifugiandosi nella casa di un suo vecchio professore, Brulov, il quale riuscirà, seppur a fatica, ad aiutare John a far luce sull’episodio che lo tormenta.
Lo spunto – un uomo ingiustamente accusato di omicidio deve dimostrare la propria innocenza – è lo stesso di tanti altri film del regista inglese: solo che in questo caso il tutto viene raccontato attraverso la lente della psicoanalisi. Peccato però che sia proprio questo il punto debole del film, forse anche a causa del fatto che Hitchcock non ha potuto osare quanto invece avrebbe voluto, cosa che ha finito col nuocere non poco sul risultato finale. La sceneggiatura (firmata da Ben Hecht e Angus Mac Phail) si destreggia con difficoltà nei meandri della psiche del protagonista, John Ballantine, al punto che lo scavo psicologico operato sullo stesso risulta un po’ superficiale. Inoltre, c’è da dire che, sebbene la suspense non manchi, il ritmo appare eccessivamente lento. Oltre a ciò, convince poco la storia d’amore (alquanto mielosa) tra la Bergman e Peck, neanche lontanamente paragonabile a quella (struggente) che vedeva protagonisti la Bergman e Cary Grant nel ben più riuscito “Notorius”.
Difetti a parte, trattandosi di Hitchcock non mancano, ovviamente, alcuni (isolati) pezzi di bravura che contribuiscono a rendere interessante il film: tra le cose da ricordare ci sono un paio di belle soggettive (Peck che beve il latte mischiato, a sua insaputa, col sonnifero; l’assassino che punta la pistola contro la Bergman, con il momento dello sparo filmato a colori), qualche piccolo saggio di suspense (come nella scena del biglietto infilato sotto la porta dello studio della dottoressa Constance, con i poliziotti che ci camminano sopra senza nemmeno accorgersene), nonché gustose caratterizzazioni di personaggi marginali (per esempio, lo sconosciuto che importuna la Bergman nella hall di un albergo).
“Io ti salverò”, benché sia un’opera minore nella filmografia del grande Hitch, è passato comunque alla storia del cinema soprattutto per una scena: quella onirica che vede il dottor Edwards muoversi smarrito tra personaggi enigmatici e scenografie sinistre che creano un’atmosfera allucinante che inquieta profondamente. Una sequenza notevole, senza dubbio il momento più memorabile della pellicola, grazie anche – come appena detto – alle splendide scenografie, frutto del genio visionario di Salvador Dalì.
Secondo alcuni, tuttavia, tale scena non sarebbe stata girata da Hitchcock, ma da William Cameron Menzies, scenografo di pellicole del calibro di “Via col vento”, ma anche regista di un piccolo cult del cinema di fantascienza, “Gli invasori spaziali”. Quanto ai due interpreti principali, se Ingrid Bergman, nei panni della dottoressa Constance Petersen, donna che per amore è disposta a fare qualunque cosa pur di salvare il suo uomo, risulta convincente, non altrettanto si può dire di Gregory Peck, che, nel ruolo di un uomo afflitto da turbe mentali, appare decisamente troppo legnoso (come faceva saggiamente notare Truffaut nel suo illuminate libro-intervista ad Alfred Hitchcock), tanto da risultare inadatto al personaggio (al suo posto, sarebbe stato molto meglio Cary Grant, o anche James Stewart). La cosa migliore di “Io ti salverò”, forse, è la splendida colonna sonora di Miklos Rozsa, meritatamente premiata con l’Oscar.

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