Questo titanico peplum, prodotto dal divo Douglas che affidò provocatoriamente la sceneggiatura al “black-listed” Dalton Trumbo, fu un grande successo ma venne poi rinnegato da Kubrick, che non lo volle inserire nel suo ‘canone’. Un filmone talmente carico da risultare ovviamente un po’ appesantito, e per quanto il regista cerchi qua e là di smarcarsi le “americanate” non mancano.
Nella parte centrale del film, di certo la meno brillante, l’avventura di Spartaco e il suo esercito di schiavi in fuga attraverso il mezzogiorno italico ha infatti i tratti della più classica epopea americana; paesaggi spianati, cavalli e carovane con mandrie al seguito sfilano sotto le musiche di Alex North (tamburi roboanti, trombe a palla) creando un’amalgama dall’ inconfondibile sapore western.
La battaglia finale a campo aperto è il vero elemento “kolossal”: girata nella dehesa di Navalvillar fuori Madrid, con ottomila fanti spagnoli come comparse (budget mica male), è veramente un imponente affresco bellico, cruento e scarlatto. Straordinaria l’incendente carrellata (su gru) della cinepresa sul tappeto di corpi.
Del cast spiccano l’ambiguo e crudele Lawrence Olivier nei panni dell’autoritario Crasso, un sempre magnifico Charles Laughton in quelli del liberale Gracco e il buffonesco Peter Ustinov (Oscar, addirittura!) mercante di schiavi. Kirk Douglas è duro e marziale, anche se sempre troppo pettinato. Piuttosto stucchevole l’intrusione degli archi ad ogni apparizione dell’altrettanto acconciata Joan Simmons; ad audio abbassato (l’avete capito, non ho gradito molto il lavoro di North) comunque la messa in scena della relazione tra i due protagonisti è efficace e piuttosto carnale per i canoni hollywoodiani dell’epoca.
Curiosità: la bella sequenza iniziale (girata su un crinale della Death Valley) ti fa sospirare e pensi: “Wow, beh si vede subito che è Kubrick”. E invece no, è l’unica sequenza girata da Anthony Mann, rimpiazzato subito dopo dal 31enne Kubrick.
Leggi tutto