26 Aprile 2012 in Soy Cuba

Girato in spagnolo, doppiato in russo e sottotitolato solo in seguito in inglese, fu ovviamente osteggiato dagli americani nel periodo bollente della guerra fredda. Fu anche però etichettato come contro-rivoluzionario dai cubani stessi per la rappresentazione cruda della società prerivoluzionaria. Questo perché le strategie politiche dopo la Baia dei Porci cambiarono fra russi e cubani, ma anche per i giudizi contrastanti che l’eccessivo intento sperimentale della pellicola diviene tema del film al punto che nell’isola fu soprannominato “No Soy Cuba”.
Kalatozov, maestro della cinematografia russa (Quando volano le cicogne, La tenda rossa), sbarcò a Cuba con una troupe eccezionale fra cui spiccava il direttore della fotografia Sergei Urusevsky, ma soprattutto il poeta Evtushenko con lo scopo delle gerarchie sovietiche di propagandare la cultura rivoluzionaria come modello di riferimento antiamericano. Ma l’intento è stato però offuscato dal carattere sperimentale dell’opera. Soy Cuba diventa l’identità del regista in una sorta di realismo onirico dove la Storia diventa un personale mondo luminosamente lirico. la Storia diviene denuncia di mistificazione dove lo sfarzo lussuoso del cinema americano nasconde nel buio la realtà dell’ingegno che sorregge la sua luce. Non per nulla il film mostra l’originaria bellezza dell’isola per poi condurci, di notte, nei luoghi miseri della contraddizione che sputano l’ipocrisia borghese della vita di L’Avana. Rimane un film dai contorni propagandistici, ma il “beatiful” della realtà, del povero e dell’oppresso viene narrato con una concezione miracolosa nella complessità dei movimenti della cinepresa con lunghissimi piano sequenza che levano il fiato all’ideologismo per restituirci i luoghi e i volti che vengono descritti. Il degrado ha lo stesso colore nel bianco e nero e il regista in modo stupefacente evita il ricorso ai formalismi retorici del realismo socialista aprendo la strada alla nuova esperienza del cinema cubano.

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