26 Giugno 2013
Jones è un autore originale, che in soli due film è riuscito a ben definire una propria poetica, basata su un sapiente dosaggio di fantascientifico e onirico in un cocktail dal sapore melanconico, persino tragico, in modo da incanalare le idee cerebrali di base in un plot accattivante anche per il grande pubblico. La trama è dinamica perché si basa sulla tensione fra due dimensioni, ma ci rendiamo subito conto che la più esplicita è anche quella meno interessante per il senso del film: non la dimensione del giallo, della ricerca del colpevole bensì quella della ricerca di sé. Non a caso il film si svolge interamente in due non-luoghi: una capsula che è e non è, un treno che è e non è. Insomma, i parallelismi con “Moon” sono evidenti, ma quest’ultimo possedeva una maggiore potenza espressiva-visionaria e una più efficace riflessione esistenzialistica, mentre “Source code” soffre per qualche evidente forzatura (pegni della produzione hollywoodiana), o meglio per una mancanza d’equilibrio in alcuni punti: la stonatura fra la tragicità della struttura generale rispetto allo spudorato happy ending e la prolissità esplicativa di alcune battute (a volte molli, addirittura con il solito richiamo allo spauracchio “quantistico”), in contrasto con il puro gusto per l’inattendibilità che attraversa l’intero film.

Film sopravvalutatissimo. Mi aspettavo chissà cosa, invece non è altro che un blockbusterone tipo “next”, “the butterfly effect” et similia. Finale ai limiti del patetico.
Anch’io penso che Jones abbia pagato il dazio di Hollywood.
Nonostante tutto, l’ho trovato sufficientemente godibile.
Sono d’accordo, è un film godibile.