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Sorry We Missed You

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Sorry We Missed You
Regia:

«Padrone del tuo destino. Te la senti?» / 31 Marzo 2022 in Sorry We Missed You

La crisi economica del 2008 porta Ricky insieme a sua moglie Abbie a rimboccarsi le maniche affinché possano mantenere la loro famiglia. Le difficoltà lavorative e quelle familiari sono molte e mettono a dura prova anche la loro forte unione.
“È la mia serata con la famiglia, quindi no… non lo faccio.
E ascoltami bene: nessuno tocca la mia famiglia”
Un film condanna verso un mondo arido e privo di umanità che vede solo l’aspetto economico tentando di attaccare e schiacciare la parte migliore dei sentimenti umani.
Un finale controverso che può essere interpretato come ottimistico o pessimistico.
A me è risultato il primo.
A voi la scelta.
Interessante.
Ad maiora!
#filmaximo

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Questa è politica / 20 Gennaio 2020 in Sorry We Missed You

Dopo l’altrettanto ottimo “I, Daniel Blake”, Ken Loach torna con un altro film che vuole raccontare gli effetti di un capitalismo che mercifica le persone ma mentre nel precedente film il protagonista reagiva con irriverenza all’insensatezza e alla disumanità di una burocrazia cieca, in questo nuovo capitolo Ken Loach ci racconta di un personaggio totalmente invischiato in una realtà che opprime, a cui non resta che dimenarsi come un malcapitato finito nelle sabbie mobili. Il film d i Ken Loach mette in scena le vicende quotidiane di una famiglia di oggi e lo fa quasi senza dare nessuno sguardo particolare ma, proprio per questo, riuscendo nell’intento di scuotere la coscienza dello spettatore. Il regista, infatti, gira il film quasi con l’intenzione di scomparire, limitandosi a documentare la realtà per quella che è. Perché questa non ha bisogno di essere infiocchettata e/o ingigantita. Quello che ci dice Ken Loach è che il capitalismo davvero sta rovinando e corrodendo un intero tessuto sociale, ci sta imbruttendo come esseri umani e non accorgersene è da sciocchi oltre che da ciechi. È disumano lavorare per sopravvivere, in questo senso il lavoro non ha nulla a che vedere con la nobilitazione ma diventa un ricatto. Non c’è nessuna dignità nel lavoro, questa va a farsi benedire e ciò che resta è solo l’umiliazione, quella dovuta a una sconfitta e alla conseguente resa. L’unica speranza è affidata agli affetti e ai gesti di gentilezza fra le persone. Basteranno?

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La dura vita di un corriere / 19 Dicembre 2019 in Sorry We Missed You

Uno non vorrebbe dire che Ken Loach fa film sempre uguali. È antipatico, lo so. Ma anche riuscendo a trattenersi, poi non è possibile evitare di citare la “working class”, e già con questa locuzione ci si richiama inevitabilmente a tutte le altre recensioni e gli altri commenti che ciascuno di noi può aver fatto in passato sui suoi film.
Vediamola in un altro modo, allora: quella di Ken Loach è una saga, come quelle fantasy; i protagonisti non si conoscono ma condividono lo stesso mondo; quel mondo non è un mondo di fantasia ma è la realtà, a un volo low-cost di distanza da casa nostra.
Stavolta la storia raccontata da Loach e il suo compare Paul Laverty assume però anche un respiro “multinazionale” (parola trigger…), mantenendo allo stesso tempo la macchina da presa, e il punto di vista narrativo, a altezza d’uomo quando non di bambina.
Il protagonista è Ricky, un padre di famiglia che deve riciclarsi come corriere per una catena di franchise che lo tiranneggia. La moglie Abby contemporaneamente è un’infermiera che assiste amorevolmente anziani e malati ma viene portata anch’ella oltre le soglie dello stress. Anche i due figli, la piccola Liza e il teenager Seb, vengono travolti dal vortice della confusione della loro età e dei loro genitori.
La denuncia è chiara, e se per qualcuno non lo fosse stata Loach l’ha ribadita ancora in conferenza stampa a Roma: dietro la velocità e la capillarità di Amazon e degli altri giganti della grande distribuzione c’è uno sfruttamento dei lavoratori che raggiunge livelli di crudeltà insopportabili: tutta la fatica e le responsabilità sono in capo al lavoratore (persino un lavoratore autonomo, nel caso dei franchise) mentre il guadagno è della compagnia che piú svende i diritti dei suoi lavoratori e appaltatori.
Alla spietatezza dei manager, come è ormai formula consolidata nei film di Ken Loach, si aggiungono anche catene di incidenti e sfortune che invece di essere tollerati o assicurati contribuiscono al circolo vizioso della perdita di denaro, quindi di lavoro, quindi di diritti.
Si attraversa la durata di questo film come si attraversano le fasi di un lutto: tanta rabbia, tante lacrime, tanta voglia di reazione e, infine, tanta rassegnazione (specie nell’Inghilterra post-Brexit, a cui Loach non ha risparmiato le sue invettive rispondendo ai giornalisti).

Alcune informazioni interessanti rivelate dal regista: gli attori, pur con qualche esperienza di recitazione professionale, sono stati scelti fra dei lavoratori di ambito non artistico: l’interprete del protagonista, Kris Hitchen, era un idraulico che andava in giro per la città col suo furgone (come il suo personaggio); Debbie Honeywood, che interpreta la moglie infermiera, nella vita è un’insegnante di sostegno; gli interpreti dei due figli sono due studenti locali di Newcastle, nell’Inghilterra nord-orientale, dove è ambientato e è stato girato il film.

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