Lavorami ancohora / 10 Ottobre 2017 in Sole Cuore Amore

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Direi che è quasi ora di finirla di fare solo film italiani ambientati in periferia di Roma e dove tutti dicono AHO’. Quindi, ci sono due linee, su cui camminano queste due vicine di casa, due ragazze amiche fin da pischelle. Eli passa 4 ore al giorno sui bus di Roma per andare a lavorare tutto il giorno in un bar in nero a 800 euro al mese, ovviamente non ha una vita, ma a casa ha un gatto, quattro figli e un marito simpatico/empatico e inutile. NB: questi vivono in 6 con 800 al mese. Come barista è molto brava, come tutto è molto brava, sembra ovunque molto brava, e simpatica, e bella, e gentile e onesta pare, tranne nel fatto che non capisce che fa una vita di me**a – e non ci voleva tanto eh. Vale invece lavora di notte come performer nelle discoteche – ci sta questo momento, a cui io non credo mica tanto, in cui l’intera discoteca di gente smette di ballare e tutti gli sversi si mettono a guardare la performance artistica delle ballerine. E alla fine applaudono anche, e ci manca solo che si dicano l’un l’altro “gradite un cordiale?”, maddai. Comunque, è litigata con mammà, tiene i figli a Eli di pomeriggio e forse si sta scoprendo lesbica dopo che ha visto le minne enormi della sua collega ballerina sotto la doccia. Meglio tardi che mai. Per cui sono belle le coreografie, sono belle le musiche jazz suonate da tutti i mostri sacri che abbiamo, sono belli i personaggi ma poi di senso non ne hanno troppo. Eli ha un’aritmia, si capisce che sta letteralmente morendo di lavoro e lei che fa? Mica smette. Ancohora. Di piùhù. Fino a che non finisce in una stazione di metropolitana. Ora, l’epilogo soprattutto, ne fa un film prettamente politico, e avercene, Vicari riprende la sua indagine tra gli ultimi e le pieghe della società, quel sottobosco periferico di persone ipernormali e schiacciate dal destino e la crisi che rende tutti più gretti e sinceri; ha l’aria di sentirsi un po’ uno Zola, a scrivere il Germinal dei giorni nostri. Solo che non c’è altro, oltre alla sofferenza dello spettatore nel vedere questa autodistruggersi di fatica, I mean, già dall’inizio pensi “ma questa così schiatta”, a che pro fare replay per tutto il film? La linea di Vale non è comunque sviluppata abbastanza, e lei col suo essere alterna appunto alterna tra l’essere simpatica e no, e finisce a scoparsi macchiette di musicisti scarmigliati (i Baustelle in Amanda Lear raccontano una storia uguale) per dimenticare i suoi problemi. Che al confronto di Eli non son niente, tra l’altro; tutta la storia di Vale poteva benissimo non esserci, o essere riassunta così: e poi c’è una sua amica che le fa da babysitter. E insomma, onore alle intenzioni e alla denuncia, non sboccia il fiore della trama. E io ero rimasto talmente tanto sotto a Diaz che per me Vicari può far quel che vuole, abbracciamoci e andiamo a spegnerci in una stazione del metrò.

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