Recensione su Six - La corporazione

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Voto quattro per Six / 16 Gennaio 2022 in Six - La corporazione

“Six, the corporation”, del 2004 è una pellicola istruttiva. Descrive una società distopica in cui gli impianti sottocutanei sono diventati obbligatori affinché ogni persona sia connessa ad un sistema centrale che pilota comportamenti ed emozioni di ogni individuo. Il protagonista, Tom Newman, è un fuoriuscito, ex agente ora contrabbandiere. Egli è arrestato e sottoposto a tortura, è poi costretto ad infiltrarsi nella comunità degli oppositori per assassinarne il capo dotato di carismi.

La produzione contiene qualche idea interessante e pure un paio di sequenze memorabili: preannuncia già un centro di controllo dotato di mega-elaboratori quantici collegati alla rete satellitare, anticipa pure il tema della modificazione genetica. E’ efficace la scena in cui il predicatore cristiano si rivolge per la prima volta a Newman. Se ne se ode la voce suadente, mentre adagio la sua sagoma emerge dall’ombra profonda sotto la branda. Bellissima è poi la sequenza d’apertura con un cielo cobalto in cui galleggiano nubi vaporose.

Purtroppo l’intreccio è prevedibile (perché non introdurre accanto al Messia, Cohen, un falso Messia?), i personaggi sono scolpiti con l’accetta: i “cristiani” sono troppo “cristiani”, con atteggiamenti sopra le righe a mo’ di martiri dei primi secoli, gli “atei” troppo “atei”, granitici nella loro incredulità. Va bene: è un film confessionale, “cristiano”, di quel “cristianesimo” statunitense molto manicheo, incentrato più sul terrore dell’inferno che sull’amore evangelico, ma questo non è un buon motivo per inscenare situazioni inverosimili, ad esempio quando i ribelli riescono ad evadere dalla prigione di massima sicurezza, come uno che decide di uscire di casa per una passeggiata. Anche le riunioni dei fedeli nelle celle o nella sala mensa, con lunghi sermoni e testimonianze degli adepti sono assurde: non interviene nessun agente penitenziario per impedirle o disperderle! E dov’è la videosorveglianza?
Le scene d’azione sono da recita parrocchiale, la sceneggiatura è scadente: ad un paio di battute indovinate si contrappongono omelie didascaliche. Buoni sentimenti, senza dubbio, ma i buoni sentimenti non sono sinonimi di buon cinema. Alcuni attori non sono male: Stephen Baldwin è a suo agio nel ruolo di catechista, anche David White nella parte del ladruncolo biondo è, tutto sommato, credibile, ma gli altri, soprattutto i cattivi, sono pesci fuor d’acqua.

Peccato, un’altra occasione sprecata: non si è ancora riusciti a produrre un lungometraggio distopico convincente, in grado di suggerire un’atmosfera apocalittica e di filigranare le minacce di un potere tecnosatanico.

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