Originale e con una splendida fotografia surreale, artificiale, fortemente digitale. Un bianco e nero dai contrasti accentuatissimi; qua e là alcuni scorci di colore saggiamente centellinati per esaltare determinati personaggi, dettagli o situazioni.
Non sono un fan di Rodriguez, ma l’amicone di Tarantino (che del film è “special guest director”, una figura creata appositamente a fini commerciali, presumo) con Sin City colpisce nel segno. Il regista trova un espediente per rendere meno indigesta la sua vera e propria mania per lo splatter: il sangue, che pur scorre a fontane nei tre episodi che compongono la pellicola, è reso in colori diversi dal rosso, risultando in tal modo meno disturbante del solito.
L’origine fumettistica della storia è rappresentata magistralmente con tecniche curiose e suggestive (vedi il bel negativo bianco/nero del prologo, oppure tutte le scene in auto, che sembrano mischiare il cinema degli esordi, quando si simulava la velocità con i ventilatori e i paesaggi erano lenzuoli dipinti, con le più moderne tecniche della cinematografia digitale).
Uno dei grandi pregi di questo film, a parte quelli squisitamente tecnici summenzionati, sta nel cast assolutamente di prim’ordine.
Il narratore aulico dopo un pò stufa, a differenza dei due esilaranti gangster dalla parlantina surrealmente (e paradossalmente) forbita, grande invenzione di Frank Miller, cui peraltro si devono la maggior parte dei meriti (e demeriti) contenutistici.
Quello che non convince della pellicola, allora, non è tanto il sessismo sfrontato o la violenza gratuita onnipresente. O forse sì, almeno in quanto tali aspetti sono, in fin dei conti, gli unici leitmotiv contenutistici.
Ma del resto da un film tratto da (e celebrativo di) un fumetto, non poteva attendersi di più.
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