Armonioso / 6 Aprile 2018 in Goshu il violoncellista

Seppure la definizione sia a suo modo riduttiva, perché -in fondo- è scorretto paragonare i due film, costitutivamente e filosoficamente diversi, ritengo che, grazie a Goshu il violoncellista, anche il Giappone possa vantarsi di avere il suo Fantasia.
L’uso che, in questo film, Takahata fa della musica classica non ha semplice valore di accompagnamento, ma è un elemento fondante delle immagini, di alcune animazioni specifiche e, soprattutto, è l’elemento-chiave del racconto, quello che giustifica le azioni del protagonista e dei comprimari, dal burbero direttore d’orchestra fino a ciascuno dei piccoli animali che fa visita a Goshu.
E non è un caso che il film si apra e si chiuda con il frinire dei grilli, melodici e musicali quanto il verso del cuculo (che sembra sottendere una particolare sonata di Beethoven), a ricordare come l’universo intero, dal firmamento a un praticello su un’isola nipponica, sia pervaso dall’armonia (e, inevitabilmente, dalla disarmonia: il protagonista vive in una casetta tipicamente giapponese, ma poi dorme in un letto all’occidentale).

La sequenza introduttiva del film esplica bene quanto sopra: la Sesta Sinfonia, la Pastorale di Ludwig van, accompagna tutto il lungometraggio, ma l’incipit di Goshu… spiega bene perché ho ardito accostare il lavoro di Takahata al “sogno” di Disney. La musica accompagna la furia degli elementi (come nella sequenza de L’apprendista stregone, per esempio) con puntualità sincronica, trasformandosi letteralmente in pioggia, tuoni, paura, assecondando gli stati d’animo della Natura (me lo si conceda) e dell’Uomo, trasfigurando il mondo, guarendolo.

Benché, a uno spettatore contemporaneo, certe soluzioni formali potrebbereo sembrare non particolarmente raffinate dal punto di vista tecnico, la resa finale di Goshu… è eccellente, il film fa vibrare l’anima come una corda di violoncello, diverte e commuove. Sarà un caso che lo strumento protagonista del toccante Departures (2008) di Yôjirô Takita, Oscar 2009 come film in lingua straniera, sia proprio un violoncello?
Questo anime di Takahata è un compendio di tecniche (acquerello, pastelli, colori vinilici) che racconta un mondo, quello del Giappone rurale della prima metà del Novecento (azzardo: epoca Taishō), in cui convivono splendidamente fusi tradizione e modernità, retaggi arcaici e desiderio di emancipazione sociale (la cultura di riferimento è quella mitteleuropea) e tecnologica.
Con passo leggero, il film di Takahata mostra l’avvento del cinematografo e dell’animazione (a ben guardare, il frammento di cartone animato proiettato nel cinema del villaggio ricorda sia i primi esperimenti giapponesi in materia quanto quelli statunitensi), soffermandosi con piacere sulla descrizione di un Giappone poetico e semplice (i fermo-immagine sui dettagli naturali e domestici, come il cipollotto lasciato a metà sul tagliere, sono toccanti), abitato da animali senzienti e fantastici.

Nota: per un attimo, vedendo il cucciolo di Tanuki e memore di Pom Poko, ho creduto che il cane-procione volesse percuotere e suonare le sue -ehm- ballette. La soluzione scelta, invece, è molto meno prosaica e la serietà con cui l’animaletto si esercita nelle percussioni è davvero simpatica.

P.s.: il film è attualmente disponibile in buona qualità, in lingua originale con sottotitoli in inglese, su YouTube: https://bit.ly/2H3Dxzy

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