Recensione su La città incantata

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Il viaggio senza eroe / 5 Marzo 2016 in La città incantata

Se la realizzazione tecnica è di altissimo livello (come tutte le produzioni dello Studio Ghibli) non si può dire la stessa cosa della storia. Da questo punto di vista Hayao Miyazaki fa cilecca.
Chihiro ci viene presentata all’inizio come una ragazzina un po’ fifona ma nel corso della storia, quando il personaggio dovrebbe evolvere e presumibilmente maturare e salvare la città incantata, ogni decisione/azione/cambiamento arriva dall’esterno, dai personaggi e situazioni che ruotano intorno a lei.
Chihiro non diventa paino piano coraggiosa, non si innamora in modo consapevole, ma subisce il mondo magico che la circonda in modo passivo e quasi casuale. La funzione della fiaba è così assente, la città incantata diventa protagonista a scapito dell’eroe. Il risultato è una confezione affascinante per una storia che sembra stia lì lì per decollare ma non spicca mai il volo e annoia terribilmente. Delusione.

7 commenti

  1. Stefania / 5 Marzo 2016

    Non sono particolarmente d’accordo e ora sproloquierò a riguardo, attansiòn 🙂
    (en passant, non ho capito bene cosa intendi con “quando il personaggio dovrebbe evolvere e presumibilmente maturare e salvare la città incantata, ogni decisione/azione/cambiamento arriva dall’esterno”: non è normale maturare in base alle esperienze che arrivano dall’esterno?)
    Benché lo stesso Miyazaki abbia dichiarato che non era nelle sue intenzioni rappresentare un viaggio dell’eroe propriamente detto, la pellicola è scandita da una progressione che ricalca pressoché esattamente lo schema tipico teorizzato da Vogler in relazione alla fiaba tradizionale (allontanamento da una situazione chiara e consolidata, prove-alleati-nemici, l’ingresso nella caverna, il ritorno con l’elisir, tra questi) e Chihiro è un’eroina con tutti i crismi, perché il film le ha affidato un ruolo molto importante, quello del recupero della tradizione affabulatoria, che la bambina mette in atto essenzialmente riappropriandosi autonomamente del proprio nome, una pratica dal forte valore magico-animistico. Con questo film, infatti, lo studio Ghibli ha affrontato un argomento spinoso come quello della globalizzazione culturale e dell’impoverimento diffuso della fantasia. Attingendo ad una tradizione narrativa locale (M. ha detto di aver tratto ispirazione da alcuni vecchi racconti nipponici), La città incantata racconta di una bambina che, attraverso un’esperienza favolosa, acquista fiducia in sé stessa: prima ancora che essere eroina “universale”, quindi, la protagonista lo è per sé, intimamente.
    Tutto quello che fa Chihiro concorre alla sua crescita interiore ed è solo in questo senso che il film di Miyazaki non può essere considerato una fiaba secondo i canoni della tradizione (così come teorizzati da Lüthi, per esempio): a differenza dei protagonisti della fiaba tradizionale, infatti, Chihiro impara dalle sue esperienze e matura sensibilmente. Insomma, ciò che le accade mentre si trova nella dimensione fantastica parallela diventa pietra miliare.
    Poi, per carità, il film può non esserti piaciuto per altri millemila motivi, ci sta, ma la funzione della fiaba, ovvero trasfigurare la realtà contenendo tutto l’universo, è stata centrata in pieno, direi 🙂

  2. lithium / 5 Marzo 2016

    Ciao, io ho una visione completamente differente dalla tua. 🙂 Cerco di spiegarmi.
    Pur contenendo molte delle classiche tappe del viaggio dell’eroe, in questa storia che vuol essere un romanzo di formazione (la simbologia della riconquista del proprio nome è evidente) manca proprio l’azione che il protagonista compie per sperimentare il cambiamento (maturazione). Non c’è reale crescita se non si vive in prima persona un cambiamento che ti fa vedere le stesse cose da un nuovo punto di vista a testimonianza dell’esistenza di un nuovo Io.
    In questa storia, Chihiro supera le diverse tappe senza mai superare realmente una prova o mostrare un cambiamento interiore, ma sempre grazie a qualcosa/qualcuno che “piove dal cielo”: gli viene trovato da altri un lavoro per non essere catturata, utilizza a caso la polpetta magica senza sapere o comprendere quali coseguenze possa avere, il figlio della strega decide di seguirla rivelandosi poi decisivo nella risoluzione della storia, ricorda il vero nome di Haku così all’improvviso, riconosce che nessuno dei maiali sono i genitori grazie a un’abilità che non si sa quando sia stata acquisita…
    Tutto ciò fa si che non ci sia un vero legametra lo spettatore e la protagonista, perchè il protagonista potrebbe essere stato chiunque ma tutte le cose che sono accadute a Chihiro sarebbero accadute ugualmente e la storia sarebbe andata avanti lo stesso…
    E allora dove vedi che Chihiro ha acquisito fiducia in sè? (e se è così, era questo il suo fatal flaw? Quando è stato presentato?) Io piuttosto vedo che ha imparato a fidarsi degli altri ma allora dove è la crescita interiore, la maturazione?

    • Stefania / 5 Marzo 2016

      @lithium: uhm, eppure, nel film, sono presenti quelle cose che, secondo te, mancano.
      L’Io della protagonista (vecchio e nuovo) è decisamente visibile, per esempio. All’inizio del film, Chihiro è una bambinetta piagnucolosa che, con il procedere della storia, acquista sicurezza, diventa sensibile anche nei confronti degli altri (esce dalla dimensione egoistica dell’infanzia) e prende coscienza di sé quando si riappropria del nome (la strega Yubaba assoggetta tutti, privandoli del nome e, quindi, della personalità). Chihiro, letteralmente, cresce: capisce chi è (ecco l’importanza del nome). Anche il fatto che sappia riconoscere i genitori tra i maiali (anzi, che si renda conto che i suoi genitori non sono tra di loro) denota quanto la bambina sia più reattiva e attenta che all’inizio della vicenda.
      La storia non è incentrata sulla sola acquisizione della sicurezza da parte della protagonista: Chihiro, innanzitutto, scopre che intorno a lei esistono altri individui e che è fondamentale interagire con essi, sia diventandone amica che scontrandosi con loro. Diventa protettiva nei confronti degli “animaletti” scacciati dalla strega, si offre di liberare le terme dal Senza Volto.
      Tornando alle tue “note”, nella tradizione favolistica (europea, perlomeno), sono rarissimi i casi in cui un personaggio sa davvero a cosa serve l’oggetto magico di cui è entrato in possesso: l’eroe è pressoché sempre in balia di forze sconosciute che gli hanno fatto un dono magico di cui più che sovente egli non conosce l’utilità ed i reali effetti.
      Alice di Carroll (il primo esempio che mi viene in mente e che non è molto distante dal tema de La città incantata) beve e mangia alimenti che hanno su di lei effetti assurdi che la bambina non conosce in anticipo ma che si dimostreranno utili a farla procedere nella sua avventura. Per citarti un altro esempio, giusto perché l’ho avuta da poco tra le mani, nella fiaba Il ramoscello d’oro di Madame d’Aulnoy (seconda metà del XVII secolo), i due deformi protagonisti, il principe Torcicollo e la principessa Torsolo, hanno a che fare entrambi, in momenti diversi, con una serie ininterrotta di oggetti incantati (chiavi, perlopiù) di cui non conoscono in anticipo l’utilità, ma che usano indiscriminatamente perché “hai visto mai?”.
      E quando mai, infine, in una fiaba, le fortune/gli oggetti magici/gli aiuti miracolosi non piovono dal cielo? 🙂

      • lithium / 5 Marzo 2016

        @Stefania
        All’inizo del film è vero è una bambina piagnucolosa, ma dove è mostrato che è insensibile nei confronti degli altri? Anzi fin da subito è disperata per la trasformazione dei genitori, pur non essendo in grado di riconoscerli tra gli altri maiali.
        Si PRESUME che sia egoista perchè tutti i bambini lo sono, ma all’inizio non c’è una scena che lo mostri. Così come si PRESUME che sia cresciuta perchè alla fine ha compiuto il viaggio e può riappropriarsi del nome ma tutto ciò rimane “narrato” nell’immaginario dello spettatore perchè non viene mai mostrato quando e soprattutto come tutto ciò avviene… ad esempio in quali punti intermedi rileviamo che Chihiro sta effettivamente crescendo? Per come la vedo io (e tutto ciò che scrivo è da intendersi per il mio gusto personale) è come se mancasse qualcosa alla storia che crei un legame col protagonista e considera che a me piacciono i romanzi di formazione! Ripeto la domanda, se al posto di Chihiro ci fosse stato qualsiasi altro ragazzino/a, in cosa sarebbe cambiata la storia? Secondo me in nulla, e se invece al posto di Holden Caulfield ci fosse stato qualunque altro ragazzino, il Giovane Holden non sarebbe il capolavoro che è.
        Per quanto riguarda gli oggetti magici nelle fiabe, ci sono in tutte ma ancora una volta è il loro rapporto con il protagonista ad essere esclusivo e determinate: pur non comprendendone il valore un protagonista può imparare ad usarli attivamente, oppure, tramite essi, comprendere qualcosa su se stesso che lo porterà a subire un cambiamento interiore.
        Quello che volevo dire all’inizio è proprio che il viaggio dell’eroe è presente, ma è come se la protagonista lo subisse passivamente piuttosto che esserne soggetto agente. E la noia che ho provato vedendo il film credo dipenda da questo perchè in genere amo i romanzi di formazione

        • Stefania / 6 Marzo 2016

          @lithium: beh, è ovvio che Chihiro si spaventi, quando vede i genitori tramutati in maiali, chi non lo sarebbe? 🙂 Questo, però, si badi bene, non è necessariamente indice di attenzione verso il prossimo: è, semplicemente, perlomeno in prima battuta, paura. Poi, si dispiace della loro sorte, certo: ma stiamo parlando dei genitori, persone a cui, per costituzione, diciamo, vuole bene e che, soprattutto, le offrono, in virtù del loro ruolo, sicurezza e protezione, cose che, improvvisamente, le mancano, a contatto con un mondo privo di riferimenti certi.
          Per Chihiro è sostanzialmente tutto un brutto sogno: non fa che dire che vuole tornare a casa, un equivalente di “vorrei svegliarmi”.
          Chihiro offre comprensione e pazienza a due creature che non fanno parte del suo nucleo famigliare e che le sono estranee anche per forme e origine: la bambina sta aprendosi al mondo in maniera “matura”, penso sia un dettaglio molto (non è il termine corretto, ne convengo) tenero, ecco. Tra gli altri “punti intermedi” di cui chiedi l’esistenza, mi viene in mente la sequenza in cui Chihiro si arrampica sulla parete esterna delle terme per raggiungere le stanze della strega e la lotta con gli “uccelli” di carta: è palesemente coraggiosa, fa qualcosa di ardito e pericoloso, qualcosa che, prima di superare la soglia del tunnel, quella stessa bambina non avrebbe mai neppure pensato. Chihiro, nel frattempo, ha assaporato il gusto dell’avventura, qualcosa che, prima di allora, forse per volontà propria, forse no, non aveva mai sperimentato 🙂
          L’intercambiabilità del protagonista che proponi è un punto fondamentale e interessante: effettivamente, penso che, sostituendo la bambina con un’altra con le stesse caratteristiche (insicurezza, piagnistei, debolezza fisica, ecc.), non cambierebbe nulla. Ma è così che deve essere 🙂 è una fiaba e, a meno che il protagonista non sia dotato per motivi narrativi di una qualità predominante (es. furbizia senza pari, capelli lunghi un km.), il suo valore principale è quello della neutralità: è l’essere anonimo a conferirgli l’universalità tipica dello strumento-fiaba. Ci si sente diversi e lontani da Raperonzolo, perché è impossibile avere capelli lunghi come i suoi, ma ci si può riconoscere in Chihiro perché è “difettosa”.
          A titolo esemplificativo, ti riporto lo stralcio di un’intervista rilasciata da Miyazaki che ho recuperato in un saggio di Alessandro Bencivenni, Il dio dell’anime: “In un mondo dove sono custoditi, protetti, mantenuti a distanza, i bambini non ricevono un vero aiuto ma sviluppano il loro fragile ego in una vita quotidiana che avvertono come qualcosa di vago. Le braccia e le gambe gracili di Chihiro, l’espressione di collera del suo viso, tipica di chi non si diverte facilmente, ne sono il riflesso. Ma quando la realtà diventa chiara e lei è costretta a confrontarsi con una situazione di crisi, emergono la sua forza e la sua capacità di adattamento. Allora trova una dimensione di esistenza nella quale può decidere e agire autonomamente. Nelle circostanze incontrate da Chihiro la maggior parte degli uomini si impaurirebbero o si rifiuterebbero di credere, ma in questo modo finirebbero per sparire o venire fagocitati. Chihiro è un’eroina poiché trova la forza di non lasciarsi fagocitare. È un’eroina, ma non perché è particolarmente bella o dotata di un cuore eccezionale. Questo credo sia uno dei meriti del film e per questo lo dedico alle ragazzine di dieci anni”.
          Non è un “male” che tu abbia trovato noioso il film, non mi sto incaponendo su questo e non è mia intenzione farti cambiare parere su La città incantata 🙂 Vorrei solo farti notare, però, che il fatto che tu ti sia annoiato potrebbe non dipendere dal fatto che Chihiro è attiva o passiva durante la sua avventura (non so quale eroe non sia passivo, in una fiaba tradizionale: forse, se mi facessi un esempio riuscirei ad avere più chiaro il tuo punto di vista e ne farei tesoro, come termine di paragone), ma che la rappresentazione del suo “viaggio” ha caratteri parzialmente diversi da quelli di un racconto di formazione così come lo intendi tu/a cui sei abituato. Dopotutto, per quanto i punti del viaggio iniziatico vogleriano siano presenti nel film, lo stesso M. ha dichiarato: “Con [questo film] volevo smontare questo mito ridicolo del viaggio d’iniziazione: alla fine del film Chihiro ha imparato solo e semplicemente ad avere fiducia in sé stessa”.
          (ti ringrazio per avermi acceso una lampadina, con la tua recensione: velocemente, ho provato a “guardare” il film da un altro punto di vista. Non ho cambiato idea a riguardo, per me resta un lavoro ben fatto e compiuto, ma mi è piaciuto ri-analizzarlo un po’)

          • lithium / 6 Marzo 2016

            @Stefania
            Anche per me è stato un piacere approfondire il film e analizzare un punto di vista diverso dal mio, mi hai aiutato a cogliere nuovi aspetti anche se fondamentalmente rimango della mia idea 😀
            Anche le parole di M. mi convicono che manchi qualcosa a livello di scrittura, perchè un film dovrebbe funzionare da solo, senza che un autore debba poi aggiungere alcuna parola (magari rispondeva solo a qualche domanda, non so!).
            Comunque ti ringrazio per lo scambio di idee, spero si ripeta!

  3. Stefania / 6 Marzo 2016

    Nel primo brano che ho riportato, Miyazaki non si stava giustificando 🙂 è una specie di introduzione al film “a ruota libera”: puoi trovare il testo integrale in inglese qui http://bit.ly/1QCGOQA
    Poi, giusto perché ho ancora il libro di Bencivenni tra le mani, posso dirti che il secondo brano è tratto dal pressbook ufficiale del film pubblicato in occasione della presentazione del film a Berlino.
    (mi è venuta voglia di rileggere ‘sto saggio, guarda 🙂 )

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