Recensione su Selma - La strada per la libertà

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La paura della santità / 16 Febbraio 2015 in Selma - La strada per la libertà

Martin Luther King è un mio eroe di gioventù, non per un fatto anagrafico di contemporaneità (sono del ’75), ma perchè nella mia formazione personale le sue parole hanno avuto un ruolo importantissimo. Da tempo mi chiedevo come mai nessuno avesse affrontato il biopic di questo gigante del ‘900, per cui attendevo con particolare curiosità (e un po’ di naturale sospetto) questo film.
Il risultato è più che soddisfacente, con qualche piccola riserva.
L’impatto emotivo della pellicola è fuori discussione; il razzismo americano è l’ingombrante protagonista, e trovo giusto che a parlarne siano registi negri come la Duvernay o McQueen (perdonatemi se non uso le circonlocuzioni tipo “afroamericani” o “coloured”, ma le ho sempre trovate insitamente offensive; MLK usava con particolare fierezza la parola “negro”).
Il focus della pellicola però non è la macro-categoria della segregazione razziale, ma più strettamente la garanzia del diritto di voto ai neri negli Stati del Sud. La Duvernay ha scelto di stringere il campo sulla marcia da Selma a Montgomery, evento che servì a dare una bella scrollata ai piccoli feudi razzisti come l’Alabama. Si tratta di fatto di un segmento di storia USA che non coincide completamente con la figura del rev. King; tanto per dire, il film termina con il discorso al Campidoglio di Montgomery, fermandosi quindi prima dell’uccisione del 1968.
Altro fatto da notare, la Duvernay non intende regalare tutto lo schermo al predicatore di Atlanta; sembra voler togliere un po’ di lucore al leader a beneficio dei suoi collaboratori, rendendo meglio in effetti la visione di un “noi”, di un duro lavoro collettivo.
L’intento di evitare l’agiografia è comprensibile, ma questa “paura della santità” sconta un po’ la veridicità del film. Chi ha avuto modo di sentire la registrazione della voce di King, chi ha letto un po’ dei suoi contenuti, potrà accorgersi che il personaggio un po’ dimesso del pur bravo Oyelowo non rende del tutto giustizia a questo carismatico martire del ‘900.
Personalmente ho apprezzato pochino l’incolore Carmen Ejogo, le varie performance “tributo” della Winfrey, Common, Gooding jr., mentre valuto molto positivamente l’interpretazione di Tom Wilkinson nei panni del tentennante presidente Lyndon Johnson.

2 commenti

  1. Francesco / 18 Febbraio 2015

    A me, nel suo piccolo, è piaciuta anche l’interpretazione di Tim Roth 😀 (freddissimo a tratti)

  2. paolodelventosoest / 19 Febbraio 2015

    Sì sono d’accordo, Tim Roth è un grande attore con la faccia da bastardone proprio (non potevo fare a meno di pensarlo dentro a un certo grill con una storica inguardabile camicia :-D)

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