Thriller mélo irrisolto / 9 Marzo 2016 in Dietro la porta chiusa
Un pasticciaccio in chiave pseudo-psicanalitica che pecca soprattutto quando si concentra sul desiderio muliebre di comprendere il trauma del marito, tramutandosi in sciacquatura mélo.
Mi dispiace liquidare Lang in tale maniera, ma questo thrilleraccio mi ha delusa molto, in particolar modo perché l’ho trovato irrisolto su tutti i fronti, incapace di dare corpo agli innumerevoli spunti narrativi proposti.
Il conflitto tra Marco (Redgrave) e il figlio, per esempio, è inconsistente, limitato ad uno schiaffone e ad una ambigua remissività del ragazzo: questi sembra celare turbamenti decisamente profondi, ma essi non vengono affatto indagati. Il giovane viene descritto in maniera molto diversa da persone differenti, ma nulla viene chiarito su questa duplice percezione che la gente ha di lui.
Personaggi di contorno come quelli della sorella dell’architetto e della sua assistente, in realtà fondamentali nello sviluppo e nell’epilogo della vicenda, restano puntualmente sullo sfondo, privi di qualsiasi spessore.
Ma anche il protagonista maschile, il citato Marco, è puro involucro, la sua “malattia” e le sue monomanie hanno origini interessanti, eppure ridicole.
La Bennett impersona Cecilia, una donna che potrebbe fare della propria vita ciò che vuole, in virtù delle libertà economiche di cui gode, ma che si lega seduta stante ad un uomo sconosciuto: col senno di poi, l’irrazionalità del suo gesto sembra sottendere la fragile struttura dell’intero film, che -per via di questo e altri numerosi dettagli, in primis la figura di Barbablù- non nego avermi ricordato sensibilmente quella del recente Crimson Peak di Guillermo Del Toro.
Sono rimasta interdetta, infine, sulla risoluzione della vicenda: Marco ha o non ha ucciso la prima moglie? Nessuno indaga in merito e il figlio che lo accusa del delitto evapora, letteralmente, dalla pellicola: l’ammmore di Cecilia svela l’origine di un dramma che affonda le proprie radici nell’infanzia dell’uomo, ma che sembra occultare le colpe oggettive che egli potrebbe aver commesso. Mah.
Nel complesso, salvo solo l’eleganza della confezione, l’uso dei chiaroscuri, alcuni dettagli della sequenza onirica in cui Marco si rivolge ad un’ipotetica giuria (i volti dei giurati, caratterizzati da silhouette scure attraversate da orbite vuote, incutono disagio) e la creazione della tensione (alleluia) nella scena del disvelamento. Curiosamente fetish l’esibizione del corpo della Bennett, con seni puntuti e ammiccanti sotto tessuti leggeri, drappeggi che rendono il fisico dell’attrice una sorta di scultura art déco in movimento.

Uah 10 solo per quel “desiderio muliebre”, sei una che non lesina mai con il vocabolario e te ne sarò sempre grato ;-D
@paolodelventosoest: mi pareva che “muliebre” stesse bene in un commento ad un film così in là con gli anni 😀
Se ti capita, guardalo, nonostante i suoi difetti: anche tu sei un cultore delle pellicole d’antan 🙂