Recensione su Schindler's List

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30 Novembre 2013

Gran film quello di Spielberg sulla Shoah, basato sulla storia, vera, di Oskar Schindler, l’industriale tedesco che salvò oltre un migliaio di ebrei di Cracovia dai forni di Auschwitz.
Partito con l’idea di sfruttare la guerra e la condizione degli ebrei per accumulare ricchezze, la parabola morale di Schindler, sebbene un pò romanzata (soprattutto nel finale), colpisce profondamente.
Difficilmente mi è capitato di trovare in un film una scena che mi facesse commuovere sentitamente, pur ritenendola contemporaneamente un tantino esagerata, come quella dell’addio di Schindler ai suoi operai, in cui si rammarica di non aver salvato anche solo una persona in più di quelle che ora sono lì a ringraziarlo.
Questa scena, a mio parere, è l’emblema dello schema di fondo dell’intero film: il tema emotivamente forte dell’olocausto, che solo a parlarne vengono i brividi, descritto e rappresentato in un modo a tratti un pò enfatizzato.
Tuttavia, nella maggior parte della pellicola lo stile è fortunatamente ed encomiabilmente di taglio pseudo-documentaristico.
La sceneggiatura è fortemente incentrata su due personaggi: oltre a Schindler, grande rilievo ha il boia Amon Goeth, incarnazione perfetta del male assoluto e straordinariamente interpretato da Ralph Fiennes.
Goeth rappresenta la banalità del male, nell’accezione resa celebre dalla Arendt: l’arbitrio del male, l’insensatezza, la crudeltà folle e fine a sè stessa. Qualcosa che è accaduto, così come si vede, una macchia indelebile sull’umanità.
Fotografia in bianco e nero di Kaminski, con quel cappottino rosso che in due singole scene sembra prima voler accendere una speranza per poi bruciarla definitivamente.
E ancora colori, 40 anni dopo, nella riconoscente processione sulla tomba di Schindler dei sopravvissuti e dei loro eredi, i quali, recita una didascalia, superano di gran lunga l’attuale (1993) popolazione ebrea della Polonia.
Terribile la scena della doccia, pur non chiudendosi negativamente: niente zyklon, solo semplice acqua, come se il regista proprio non ce l’avesse fatta, come se lo spettacolo della morte assurda nei campi di sterminio fosse qualcosa di irrappresentabile, e forse addirittura ineffabile.
L’ennesima grande colonna sonora di John Williams.
Intramontabile.

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