Recensione su Sarusuberi

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Ombra fluttuante / 20 Dicembre 2016 in Sarusuberi

Vissuta nella prima metà dell’Ottocento, Hokusai O-Ei era la figlia maggiore di Hokusai Katsushika, l’artista (forse il più noto in Occidente) della fluttuante Edo, l’antica Tokyo, da lui sovente rappresentata nelle proprie opere, tra le più diffuse del genere ukiyo-e.
Il ricco lungometraggio di Hara Keiichi ispirato a un manga di Sugiura Hinako pubblicato nella prima metà degli anni Ottanta racconta un breve arco di tempo della vita di O-Ei, a cavallo tra i suoi ventitre e ventiquattro anni.

O-Ei è vissuta all’ombra e nell’ombra del padre, uomo da lei amato e ammirato e al contempo molto criticato, bizzarro e solitario, dedito pressoché esclusivamente alla realizzazione delle sue opere (ampie fino a 12 tatami, circa 20 mq, o realizzate su superfici minuscole come un chicco di riso), separato dalla seconda moglie e apparentemente disinteressato al destino della sua famiglia (le note biografiche di Hokusai riportano una progenie abbastanza numerosa ma incerta).
O-Ei è consapevole della propria bravura, apprezzata anche dal padre, che, per esempio, ritiene che la figlia sia in grado di disegnare figure femminili migliori delle sue (la ragazza potrebbe aver perfino realizzato alcune opere attribuite tradizionalmente a Hokusai-san), ma anche dei propri limiti ed ella è fermamente intenzionata a superarli: la silenziosa e concentratissima O-Ei è alla scoperta di sé e del mondo, di quelle conoscenze concrete in grado di arricchire la sua sensibilità di donna e di artista. L’Arte è il mezzo con cui O-Ei studia ciò che la circonda e ne assorbe la bellezza.
La signorina Hokusai è come la pianta di mirto crespo del giardino di sua madre: nel momento della fioritura, O-Ei è un’esplosione di colore, una vertigine di emozioni trascinanti, benché apparentemente contenute dietro la maschera di un volto serio e concentrato. Attratta da un collega più maturo ed estremamente gentile, materna e amichevole nei confronti della sorella minore cieca e malata, intransigente nel lavoro, rispettosa ma autoritaria con il padre, pronta a scoprire il sesso nelle maniere concesse alle donne dell’epoca (anche le ragazze potevano frequentare liberamente le case di piacere), O-Ei è una figura femminile estremamente emancipata e quantomai affascinante per via della grande libertà e del coraggio con cui sembra affrontare la vita, rappresentata come un susseguirsi ininterrotto di suggestioni legate al passaggio delle stagioni e alle festività religiose.

Nonostante la sua “originalità” e i suoi meriti artistici, O-Ei è stata pressoché ignorata mentre era in vita e dimenticata con il trascorrere del tempo: alla morte del padre, partì e scomparve, letteralmente.
In un mondo, quello tradizionale giapponese, in cui realtà e mito, umani e spiriti si fondono con continuità, in un perenne flusso organico, la figura di O-Ei si muove con passo silenzioso, ma fermo e deciso, impressionando per via della sua modernità: il lavoro di Hara è particolarmente efficace proprio nella rappresentazione delle peculiarità caratteriali della giovane artista e sulla felice compenetrazione tra l’animo della protagonista e l’affascinante contesto in cui si muove.
Esteticamente, Miss Hokusai incanta per via dell’accurata rappresentazione della Natura, della moda, delle architetture e della società giapponese dell’epoca, mostrando con sufficiente dovizia di particolari cibi, oggetti, usanze: non so quanto tale abbondanza sia filologicamente corretta al 100%, ma è certo che, dal punto di vista visivo, il risultato finale è felicemente impressionante.

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