Errante e aberrante / 21 Aprile 2021 in Senza tetto nè legge

Finalmente, grazie a Senza tetto nè legge, mi avvicino, con colpevole ritardo, alla filmografia di Agnès Varda.

Il viaggio (senza sbocco) della giovane Mona (Sandrine Bonnaire), in viaggio apparentemente perpetuo nelle campagne della Francia meridionale, viene raccontato dalla Varda con una sorta di distaccata empatia.
La scelta di raccontare la storia di questa vagabonda solitaria attraverso le testimonianze di chi l’ha incontrata nei suoi ultimi giorni di vita sfrutta il meccanismo del racconto a più voci/da più punti di vista, permettendo di seguire con lucida coerenza narrativa la protagonista in diversi momenti dei suoi ultimi scampoli di esistenza.
Ma, a differenza di altri esempi cinematografici che hanno usato questa tecnica, qui, c’è sempre un punto fermo e immutabile: la stessa Mona.

La ragazza non cambia mai, a prescindere da chi la descrive, da chi si rapporta con lei.
L’uniformità della molteplicità è uno specchio perfetto di Mona, caleidoscopica eppure sempre coerente a se stessa e al suo desiderio di libertà e indipendenza: coraggiosa/ indifesa, pragmatica/avventata, dolce/selvatica.
La sua natura eterogenea e complessa è ciò che attira maggiormente le persone che interagiscono con lei. Mona riesce a suscitare allo stesso tempo repulsione e desiderio di protezione, curiosità e brama di possesso.

Mona è la protagonista formale del film, ma sono tutti gli altri personaggi a costruire il suo racconto, una strana forma di mockumentary in cui l’elemento del ricordo a voce alta diventa una confessione intima che sfonda la quarta parete.

Il finale è impietoso e violento e mette in scena perfettamente il concetto di “errante e aberrante”della cruda profezia del capraro che, intorno alla metà del film, tenta di dimostrare (inutilmente) a Mona che una vita in media res è moralmente sostenibile.

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