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Saibogujiman kwenchana

/ 20067.582 voti

Il cyborg e la fantasia / 10 Settembre 2018 in Saibogujiman kwenchana

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

La giovane Cha Young-goon è convinta di essere un cyborg. Per questo motivo, un giorno, mentre lavora in fabbrica, cerca di ricaricare le proprie batterie inserendosi dei fili elettrici nel polso. Ma l’operazione prevedibilmente finisce malissimo, e viene presa (non a torto) per un tentato suicidio; così Cha Young-goon si trova rinchiusa in un reparto psichiatrico. Stessa sorte subita dalla nonna adorata, la quale tempo addietro aveva iniziato a credere di essere un topo. Nell’ospedale, Cha Young-goon conversa con le luci al neon o col distributore automatico di bevande; conosce altri pazienti affetti dai disturbi più bizzarri, come il bel Park Il-sun, schizofrenico e antisociale; ed è assolutamente determinata a restituire alla nonna la sua dentiera dimenticata a casa.
Mai il gioco della follia è stato messo in scena con più brillante estrosità, e con più delicatezza, lontano da qualsivoglia tentazione retorica o intellettuale.
Park Chan-wook, regista sudcoreano noto in occidente grazie alla sua “trilogia della vendetta” (“Mr. Vendetta”, 2002; “Old Boy”, 2003; “Lady Vendetta”, 2005), firma qui un’opera esplosiva e senza eguali, vincitrice del Alfred Bauer Award al Festival di Berlino 2006. La malattia mentale, la solitudine del diverso e la sua riconciliazione col mondo, il perdono e il superamento della colpa, la ricerca del senso chiarificatore posto dietro l’esistenza – innegabilmente questi temi alimentano la storia. Eppure non è su di essi che si focalizza l’attenzione critica del regista, il quale abdica alla funzione di analista, o peggio ancora, di razionalista, sottraendosi al compito di valutare le implicazioni morali o sociali del contesto manicomiale. Park Chan-wook, piuttosto, sfrutta il pretesto narrativo per raffigurare un microcosmo dal tono bizzarro, ironico e surreale; egli non desidera altro che dare consistenza ai sogni dei malati, queste creature spaesate, questi poeti ingenui, i cui giochi (e traumi) infantili, secondo la lezione freudiana, non hanno mai cessato di formicolare e di rinnovarsi mediante la fantasia; egli vuole anzi dimostrare che tali giochi e tali sogni, sospinti da un’iniziale anarchia, possono connettersi tra loro, e magari completarsi a vicenda in uno stadio di pace e quiescenza simile alla guarigione, senza troppe intromissioni da parte della realtà.
Se la vicenda segue un percorso evolutivo abbastanza tradizionale, la natura postmoderna dell’opera emerge invece dai riferimenti e dalle citazioni intelligentemente rielaborate. Nella sua struttura si è frullata una ricca serie di ingredienti: non solo la dinamica sanitaria presente in “Qualcuno volò sul nido del cuculo” di Milos Forman, ma anche gran parte della visionarietà di Terry Gilliam (“Brazil”, “La leggenda del re pescatore”, “Tideland”); poi qualche spunto formale tratto da “Il favoloso mondo di Amélie”, e persino dall’immaginario di Wes Anderson, insieme alla leggerezza fiabesca, tipicamente orientale, di un Miyazaki; né mancano gli omaggi ad altri anime o videogiochi. Si può inoltre cogliere, a partire dal titolo, un riferimento all’automazione femminile nelle sue molteplici declinazioni letterarie, fumettistiche e cinematografiche: da Olimpia, la bambola meccanica di Hoffmann, passando per la falsa Maria di “Metropolis”, sino alla Rachael di “Blade Runner” e a Motoko Kusanagi di “Ghost in the Shell”. Al resto provvede la prolifica fantasia di Park Chan-wook, sorretta da un assoluto controllo registico. L’atomismo dei personaggi, (iper)attivi nella loro contorta ma instancabile vitalità spirituale, consente infatti di inanellare una serie di sequenze sempre aperte al virtuosismo e alla più energica sperimentazione. Il merito va riconosciuto tanto agli attori, ben aderenti ai propri ruoli sgangherati, quanto al complessivo reparto tecnico. Da lodare in particolar modo il montaggio vivace; la fotografia vivida di colori, con predominanza di bianchi laddove prevale l’algida realtà ospedaliera; e le musiche disposte in piena sintonia, anche spassosa, con il carnevale psichiatrico a cui assistiamo meravigliosamente conquistati.

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microchip emozionale / 1 Agosto 2013 in Saibogujiman kwenchana

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Questo film mi ha ricordato il testo di una canzone dei Subsonica “Aurora Sogna”
Solo che Aurora sogna (per l’appunto!) di essere un cyborg, la protagonista del film ne è convinta! Non dorme, rifiuta cibo e acqua, lecca batterie per “nutrirsi”, evita il contatto con gli altri esseri umani preferendo la compagnia di una svariata serie di apparecchi elettrici, dalla radio al distributore automatico.
Finisce in un ospedale psichiatrico per un tentato suicidio che, alla luce della sua convinzione delirante, di fatto non lo è!
Tra l’indifferenza generale del personale ospedaliero, in un’atmosfera futuristica, colorata, a tratti grottesca si aggirano i pazienti di questo improbabile “manicomio”.
Credo che il film sia giocato su due piani:
Sullo sfondo la critica spietata alla psichiatria e ai suoi modi frettolosi e impersonali, che tendono a vedere solo la malattia e non il malato. I medici appaiono come figure, a mio avviso, quasi grottesche, inette, senza un briciolo di competenza e autorevolezza ( la giusta punizione sarà loro inflitta dalle fantasie vendicative della nostra kombat cyborg!).
In primo piano la storia della protagonista da cui scaturisce una profonda riflessione sulla condizione umana: quello che ci rende umani non è la fame, la sete, non sono i bisogni corporei, ma la dimensione spirituale, metafisica nella quale risiedono i sentimenti e le emozioni.
“Ti prego prenditi la mia simpatia” è il grido straziante della protagonista che si deve liberare della zavorra emotiva per poter diventare un robot a tutti gli effetti e portare a termine la sua missione vendicativa.
Concludendo, credo che questo film sia molto più profondo di quello che può sembrare ad un’analisi superficiale…se ci si ferma alle immagini da videoclip e ai colori sgargianti non se ne può apprezzare fino in fondo il significato…consigliatissimo!

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싸이보그지만 괜찮아 / 30 Maggio 2013 in Saibogujiman kwenchana

E’ una scommessa alquanto azzardata questo film,
che mescola commedia, tragedia, splatter…
Però, sostanzialmente, nonostante la difficoltà dell’opera, il risultato è ottimo.
E’ un film riuscito fin dai titoli di testa, per una volta presentati in un modo godibile
e interessante. Peccato non conoscere l’Hangŭl, .-.
La protagonista ricorda Ameliè, ma in una versione più stralunata, più violenta ecco.
Mi sono chiesto se il regista abbia anche voluto parlare del problema dell’anoressia (indirettamente)…
Magari sì, magari no, lo chiederemo a Giacobbo.
Come minimo ne ricaverà un libro-inchiesta.

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31 Gennaio 2013 in Saibogujiman kwenchana

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Il regista è quello della trilogia della vendetta, quello di cui io dico a tutti di vedere Simpathy for Mr. Vengeance e non credo ci sia qualcuno che l’ha mai fatto. Violenza poetica*_* Ma pazienza. Qui trattiene molto la sua furia distruttiva e si concentra sulla storia/favola di una ragazza che crede di essere un cyborg, e viene tenuta in una casa di cura insieme a tanti altri pazzerelli come lei, mentre il suo unico scopo è uccidere tutti i dottori, che lei ritiene colpevoli di averle rapito la nonna, la cui dentiera a sua volta conserva gelosamente. Chiaro no? Basta, è tutto così, il repertorio dei pazzi ve lo potete immaginare, c’è l’obesa, quello che cammina all’indietro, quella che guarda le cose solo tramite uno specchio e poi c’è lui, un ladro che si costruisce maschere da coniglio o qualsiasi altra cosa per rubare gli oggetti altrui. E la prende in simpatia, e si conoscono, e alla fine stanno in una tenda in una tempesta ad aspettare il fulmine che ricaricherà del tutto il cyborg ma quello non potrà arrivare mai. E insomma si chiude col sorriso, anche se non si è capito bene il perché, perché quelli diversi sono strani e belli e lei per pranzo lecca le pile; e quando crede di essersi ricaricata immagina di uccidere tutti i dottori in delle scene che sono epocali ed è anche bello poter raccontare e mostrare agli altri. Guarda! 😀

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