Il film dell’inquietudine / 21 Aprile 2012 in Saenghwalui balgyeon

“Questa è una giornata nella quale mi pesa, come un ingresso in carcere, la monotonia di tutto. Ma la monotonia di tutto non è altro che la monotonia di me stesso. Ciascun volto, anche lo stesso che abbiamo visto ieri, oggi è un altro, perché oggi non è ieri. Ogni giorno è il giorno che è, e non ce n’è mai stato un altro uguale al mondo. L’identità è solo nella nostra anima, attraverso la quale tutto si assomiglia e si semplifica. Il mondo è cose staccate e spigoli distinti; ma se siamo miopi, esso è una nebbia insufficiente e continua.
Il mio desiderio è fuggire. Fuggire da ciò che conosco, fuggire da ciò che è mio, fuggire da ciò che amo. Desidero partire: non verso le Indie impossibili o verso le grandi isole a Sud di tutto, ma verso un luogo qualsiasi, villaggio o eremo, che possegga la virtù di non essere questo luogo. Non voglio più vedere questi volti, queste abitudini e questi giorni”.
Voglio fuggire, soprattutto da me stesso.
Queste parole di Pessoa descrivono benissimo il protagonista del bellissimo Turning gate, film del più europeo dei registi coreani, accostato a Rohmer e molto amato in Francia.
Colonna sonora praticamente assente (un fado o, meglio ancora, una morna non avrebbe stonato).

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