12 Recensioni su

Room

/ 20157.8399 voti

Una madre e un figlio. / 1 Novembre 2022 in Room

Ho appena terminato di leggere il romanzo “stanza, letto, armadio, specchio” di Emma Donoghue e ho deciso di vedere il film che ne hanno tratto.
Se il romanzo mi ha commossa molto il film non è da meno, una storia toccante ed estremamente dolorosa, un’esperienza di vita devastante(una prigionia durata sette anni), un rapporto simbiotico tra madre e figlio.
Un film che come il libro ti fa apprezzare ancor di più la bellezza dell’essere liberi.
Performance attoriale perfetta.

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Stanza, letto, armadio, specchio / 25 Ottobre 2018 in Room

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Buon film intenso e drammatico.
Il piccolo Jack vive con la madre Joy (l’ottima Brie Larson che ha vinto l’oscar meritatamente per questa pellicola) in una stanza; non conosce nulla del mondo esterno. Pian piano si viene a sapere che Joy è stata rapita 7 anni da un uomo sconosciuto (chiamato Old Nick) che da allora la tiene segregata e la abusa continuamente.
Il film si può dividere in due parti; la prima si svolge all’interno della stanza dove Joy cerca di far vivere al bambino una vita “normale” con le limitazioni del caso. Quando Jack compie 5 anni, Joy si rende conto che non possono continuare a vivere così e insieme cercano di escogitare un piano di fuga. La seconda, a fuga riuscita, vede il lento e faticoso riadattamento al mondo esterno da parte di Joy, la cui esperienza l’ha però segnata negativamente. Allora lo scopo è quello di far crescere Jack che inizialmente ha molte più difficoltà ad abituarsi al Mondo (fuori dalla stanza).
Molte scene dure e dolorose, sia all’interno della stanza che fuori: la forza di Joy all’interno, che riesce a far sembrare a Jack la stanza enorme (basta vedere la reazione poi di Jack quando la rivede fuori dal contesto). Le difficoltà di riadattarsi al mondo esterno con i cambiamenti famigliari degli ultimi 7 anni, i soliti giornalisti invadenti e senza scrupoli (dure le domande che rivolgono nell’intervista a Joy).
Nel resto del cast, minimale soprattutto nella prima parte, da citare Joan Allen e William H. Macy nei panni dei genitori di Joy.

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la descrizione di un abuso e di una rinascita / 7 Marzo 2018 in Room

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Room è stato claustrofobico ma nemmeno troppo. Infatti solo una parte è ambientata all’interno della stanza. In particolare non è tanto la vicenda del rapimento a essere il fulcro di tutto ma i due protagonisti e il loro rapportarsi al luogo in cui vivono e successivamente a quello post fuga. Inizialmente abbiamo una madre che fa di tutto per proteggere il figlio dalla situazione in cui si trovano. Non sa se è giusto mentirgli ma lo fa per fargli vivere quei primi anni in armonia. Purtroppo il bambino crede che la stanza sia il mondo. E quando si presenta un’occasione di fuga è molto difficile fargli credere che in realtà non è come è sempre stato. La protagonista è una ragazza madre, rapita, per anni a subire abusi sessuali (che l’hanno portata a far nascere il pargolo in questione). Quando finalmente si ritrova nel mondo reale ha perso razionalità, è sconvolta e non riesce a sentirsi a casa, al sicuro o tranquilla. E’ una situazione mentale agghiacciante, difficile immedesimarsi in lei. Per il piccolo è difficile inizialmente ma poi man a mano che va avanti nei giorni diventa tutto più normale. La sua vera vita è appena cominciata e ha pure scoperto di avere un intero mondo da vedere. Lei di vita ne ha perso una buona parte. Reclusione e violenza è tutto quello che ha conosciuto, per cui giustifico le sue azioni fuori dalla stanza. Quello che fatico a capire sono le persone che le stanno intorno. Cercano di aiutarla senza rendersi conto di peggiorare solo le cose. In conclusione Room è un film intenso ed emotivamente difficile ma al tempo stesso bellissimo e struggente.

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Riuscito a metà / 6 Marzo 2018 in Room

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Mi è sembrato un film riuscito a metà.
La prima parte, in cui viene raccontata l’assurda quotidianità dei protagonisti, è disturbante, piena di tensione, dolore e, per assurdo, originalità, ben espressa dalle mille invenzioni di Joy (molto brava Brie Larson).

Con il renserimento della ragazza e del bambino nella società, tutto si disfa. Le implicazioni sociologiche e psicologiche del racconto vanno ramenghe: il ragazzino si trasforma in un fantoccino senziente e la madre è solo (la) preda di una pur comprensibile depressione. A livello di scrittura, sono diventati pallidi ricordi dei personaggi ben caratterizzati della prima parte della narrazione e intorno a loro si muovono figure solo sbozzate.

Azzeccatissimo il piccolo attore, Jacob Tremblay, mai stucchevole.

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Il mondo fuori dall’abbaino / 20 Ottobre 2016 in Room

Film doloroso, a tratti insostenibile, con le eccellenti interpretazioni di Brie Larson e del piccolo Jacob Tremblay. Sarebbe stato ovvio puntare sul senso di claustrofobia di una piccola stanza segreta, invece essa è nel film di Abrahamson la proiezione della libertà attraverso gli occhi di un bambino, un nido dal quale urlare agli alieni e fare un po’ di capricci, fare il bagno con mamma, cucinare e giocare. Intenso, con momenti di tensione e pause rassicuranti, un film che non si può scordare.

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Grande per due terzi / 6 Luglio 2016 in Room

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Grande film, ma solo per due terzi della durata. La prigionia di Joy e Jack – un tema non facile – viene raccontata con tatto, senza indulgere in morbosità, e con una sorta di levità. La fuga, con Jack che per la prima volta vede il cielo senza ostacoli, è un grande momento di cinema; la liberazione della madre (grazie a un’intelligente poliziotta) è sinceramente commovente.
Ma a questo punto il film si pianta. Invece di mostrare la scoperta del mondo da parte di Jack, come ci si attenderebbe, sceglie di indugiare sulla depressione di Joy. La vicenda di fatto si blocca, e risulta persino più claustrofobica della prima parte. Una scelta non molto comprensibile.
Ottimi gli interpreti, con Jacob Tremblay che – grazie anche alla regia – evita in gran parte la petulanza che gli interpreti bambini sembrano destinati a mostrare in simili ruoli.

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Grande film / 26 Aprile 2016 in Room

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Coinvolgente, cast eccezionale. La cosa davvero interessante è stata vedere come un soggetto che ha subito un grosso trauma poi tenta di uscirne. Solitamente nei film si vede il lieto fine, qui invece si va ad analizzare tutto ciò che viene dopo di esso.

7/5-8 / 16 Marzo 2016 in Room

L’emozionante storia di un bambino e della sua mamma, che dopo aver trascorso 7 lunghi anni in una capanna ha una presa di coscienza che la spinge a lasciare quello che per Jack è tutto il mondo.Un grande film tratto da un grande best-seller che fa soffocare lo spettatore per i primi 40/50 minuti,straordinariamente claustrofobici, per poi lasciarlo in un mondo che non è quello che si aspettava Joy.Inutile spendere altre parole sulle interpretazioni:Brie Larson dà una lezione di recitazione a molte “attrici” ed il piccolo Jacob la dà a tanti altri “attori” Grande regia,ma poca suspense…

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La Furbizia in una Stanza… O quasi. / 14 Marzo 2016 in Room

Il vero limite di questa produzione è prendere dei sottotesti di sicuro interesse e scalfirne solo la superficie, dando in pasto il tutto a facili moralismi preconfezionati per la consueta trappola annuale.

Unico nel suo genere / 2 Marzo 2016 in Room

Jack quando si sveglia la mattina non sa che cosa farà, però sa dove non andrà. Non andrà né alla pista di pattinaggio su ghiaccio né a un rivendita di hamburger, non andrà a giocare con i suoi amici, non andrà a pranzo dai suoi nonni. In realtà non sa nemmeno che esistano tutte queste cose. Perché il mondo per lui non è che una serie di immagini inventate dagli alieni, che passano di tanto in tanto alla televisione. Jack ha solo sua madre di reale. E un uomo di nome Old Nick che ogni domenica gli porta qualcosa. Sua madre non gli ha detto del mondo perché entrambi sono costretti a vivere in un capanno, adattato a casa. Sua madre ha voluto proteggerlo, convincendolo che non esistesse una prigionia perché non esisteva un mondo a cui tornare. Ma Jack ha cinque anni adesso, e se quando ne aveva quattro non voleva credere che il mondo non esistesse, ora che gli viene detta la verità non la vuole più conoscere. E sua madre Joy capisce che deve salvarlo da tutto ciò. Aspirando a un ritorno al mondo reale come soluzione di tutti i problemi. E Joy è abbastanza forte da proteggere suo figlio, ma non abbastanza da rinunciare a lui pur di salvarlo: e’ una Joy che ha il coraggio di amare un bambino nato dalla violenza, ma non abbastanza da non rimpiangere il giorno in cui tutto ha avuto inizio. E’ un essere umano reale, debole e forte. E se Joy protegge Jack, Jack salva Joy, diventa motivazione per liberarsi, diventa la forza di andare avanti. La forza di Room si costruisce tutta su questo rapporto madre-figlio così unito e dolce, al di là delle situazioni a cui è sottoposto, protezione da una parte e potere salvifico dall’altro. Di grande efficacia sono le interpretazioni di Jacob Tremblay e Brie Larson. Uno dei migliori film degli ultimi anni. Non saprei neanche sotto che genere catalogarlo è un qualcosa che non ho mai visto prima d’ora. Semplicemente meraviglioso.

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6.5 / 27 Febbraio 2016 in Room

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Room è una stanza che è anche tutto il mondo per il piccolo Jack e per sua madre. Una stanza di nemmeno dieci metri quadri, probabilmente: sua mamma sa che fuori da quelle mura c’è dell’altro, Jack no, perché ha cinque anni e perché per quei cinque anni sua madre gli ha sempre raccontato delle storie inventate circa il fatto che tutto il mondo si riduca alla stanza dove vivono.
Fuori da quelle mura c’è lo spazio aperto, e solo Old Nick può andarci e tornare con le cose che servono a madre e figlio per sopravvivere.
Comodo, no?
Ed infatti quando poi (nemmeno a metà film, per questo ve lo dico) i due lasceranno Room saranno colti come da forte nostalgia: vorranno tornarci.
Una prigionia forzata dove però non c’erano i problemi e i dubbi che ti affliggono all’esterno, nella società, dove sei libero…così libero da non sapere cosa fare, quando farlo, da non sapere cosa diavolo fare con tutto quel tempo che ti ritrovi.
Come fa notare il piccolo Jack a Room il tempo scorreva lento ed era tutto lì, mentre fuori, nel mondo, il tempo scorre attorno a tutte le cose e puoi perderti parti di tempo se ti dedichi ad una cosa a discapito di un’altra.
Il film è molto bello nella prima parte: interessante, psicologico, analizzatore. Purtroppo nella seconda si perde un po’: con l’uscita dei protagonisti dal “loro mondo” la vicenda perde d’interesse, finendo in una scontata catena di reazioni dei protagonisti, della cerchia di chi gli sta intorno e di tutto il mondo dietro.
C’era più potenziale da sviluppare, anche se comprendo dove l’autore volesse andare a parare mostrandoci il film così com’è.

Consigliato a: A chi abbia voglia di mettercisi un po’ d’impegno nel vedere un film. Se è una serata dove avete bisogno di distrazione, lasciate perdere, perché Room è un film che richiede una certa attenzione e anche il modo in cui è girato ve lo fa capire (almeno nella prima metà). Se siete certi che volete un tantino impegnarvi per riflettere insieme ai protagonisti, allora Room sarà lieto di darvi il benvenuto.

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La “stanza” della vita / 5 Novembre 2015 in Room

Dopo essersi fatto notare al Sundance Film Festival 2014 con il peculiare ma meno riuscito “Frank”, il regista irlandese Lenny Abrahamson si ripropone con un dramma d’indagine sul post-trauma, nel quale l’ampiezza tematica viene sviscerata con garbo e con una capacità di sinteticità esaustiva che è raro rintracciare sul suolo cinematografico. “Room”, nei suoi martellanti 118 minuti di durata, non cede al melò ruffiano e morboso, ma con discrezione fa luce sulla storia di una ragazza, Joy Newsome, che dopo essere stata rapita da un maniaco viene rinchiusa in una stanza, dove partorirà suo figlio. Per il piccolo Jack, che ha appena compiuto cinque anni, il mondo è contenuto tutto in quella “stanza”. Sa che al di fuori di essa si trova lo “spazio”, ossia la realtà; la cinepresa, in effetti, si muove esclusivamente allo scopo di sottolineare la vastità percepita dagli occhi del bambino, creando un effetto che ricorda di certo le navicelle spaziali, e di conseguenza riedificando l’essenza della gestazione.

Le percezioni prendono piede, seminando un sentore di curiosità insinuante, con impressioni emotive, sensoriali, addirittura tattili. Ma per proteggere il suo Jack dal contesto tragico in cui sono costretti a “vivere”, Joy installa un immaginario scenico nella sua mente in modo tale da conservare tra di loro, nonostante tutto, momenti costruttivi e di sana gioia casalinga. Una spensieratezza che però è vera solo a metà, così come la connotazione di rifugio, tale da aprire una riflessione più ampia con l’avanzare del racconto. Il valore della casa e del senso di conforto viene qui ribaltato nel passaggio da uno spazio chiuso all’altro, che in un certo modo provoca un rinculo emotivo e depressivo: nessuno dei personaggi si riconosce nel ruolo da loro stessi prefissato, fin quando tutte le ferite non saranno venute a galla, e tutte insieme, proponendo con durezza quello che è il dramma universale del contatto con la realtà.

Vita, morte, crescita, responsabilità, violenza: tanti e complicati sono i temi analizzati nella pellicola di Abrahamson, che non lascia spazio né a parole di troppo, né a domande insistenti, ma crea invece la possibilità di una riflessione che perdura anche dopo la sua visione. Tratto dall’omonimo romanzo di Emma Donoghue, “Room” si prefigge quale nuova e acuta elucubrazione sui paesaggi interiori (molto più di quelli esteriori) dell’essere umano; un’opera dalle tinte sfumate tali da permettere una chiave di lettura psicologica ardita ma ben ponderata, e quindi efficace. Notevoli le interpretazioni di un cast consistente, tra i cui componenti spicca Brie Larson, che nel ruolo di Joy, alias Ma, dà prova dell’intensità del conflitto madre / figlio e realtà / irrealtà, affiancata da Jacob Tremblay, che da subito chiarifica un’eccezionale capacità d’interiorizzazione, tra l’esilità dell’infanzia e l’eroismo di un innato senso di responsabilità.

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