Ho l’impressione che, in generale, molti biopic musicali abbiano uno strano e ricorrente difetto: calano di intensità e mordente dopo l’ascesa della star di turno e diventano abbastanza noiosi quando ne affrontano i drammi legati alla notorietà. Penso alla resa complessiva di film come The Doors di Stone, il mio adoratissimo Velvet Goldmine di Todd Haynes (che, pure, ha una struttura molto originale), Walk the Line di James Mangold, Great Balls of Fire di Jim McBride.
A parer mio, a questa specie di maligna regola non scritta non sfugge neppure Rocketman di Dexter Fletcher (che, in corsa, ha dovuto prendere anche le redini del successo commerciale Bohemian Rhapsody dopo la defenestrazione di Bryan Singer e mi piace credere che quel film avrebbe potuto avere esiti cinematografici migliori se ci fosse stato lui a dirigerlo dall’inizio), confermando alcuni difetti presenti già nel suo precedente film da regista, il biopic sportivo Eddie the Eagle (2015).
Rocketman racconta la vita e la carriera di quel portento di Reginald Dwight alias Sir Elton John, un tipetto con gli incisivi spaiati, gli occhiali a fondo di bottiglia e una voce freschissima e potente che, negli anni Settanta, raccogliendo in qualche modo l’eredità formale di Jerry Lee Lewis, ha dato immensa dignità rock al pianoforte, mischiando glam, hard e pop, sia in termini musicali che estetici.
Forse, un po’ accecati dalla sua facciata colorata ed eccentrica, non siamo sempre consapevoli dell’impatto che l’estro di Elton John ha avuto sulla storia della musica (mi metto in prima fila, in ginocchio sugli Smarties). E se Rocketman ha davvero un merito è questo, cioé riportare l’attenzione sulla produzione artistica di Elton John, non solo sulla sua storia personale.
Ma basta ascoltare la colonna sonora di questo film (che porta sullo schermo solo un micron della sua gigantesca produzione artistica, segnata dall’amicizia e dalla collaborazione con il fondamentale Bernie Taupin) per rendersi conto di quanti brani del buon Reggie Dwight ci scorrano ormai sottopelle.
Non so voi, ma (facendo riferimento alla sola soundtrack)… Tiny Dancer, per esempio, è una di quelle canzoni che mi ammazzano e resuscitano, sempre. E non mi dilungo su Take Me To The Pilot e della sua potente progressione. O sull’intro di pianoforte creata da Elton John per Pinball Wizard degli Who.
Rocketman inizia con i fuochi d’artificio, come un musical che rende i brani di Captain Fantastic parte integrante del racconto, affidandone l’esecuzione canora a più personaggi che si rimbalzano le strofe, in un dialogo emotivo perfetto. Niente di nuovo (è la consueta formula dei musical, ci mancherebbe), ma la confezione è ottima e, qui, Taron Egerton è davvero una bomba.
Ma, proprio come un rocket, un razzo, che esaurisce la sua spinta, il film scema progressivamente di tono e, mentre, in proporzione, aumentano le stramberie di Elton John e il numero delle sue paia di occhiali, cala la fantasia dirompente (per estro e inventiva, quasi degna di un Terry Gilliam nei suoi momenti migliori) che sembra guidare la prima parte del film. Benché tutta la narrazione sia sottesa da un forte senso del dramma, l’aspetto drammatico della vicenda (appunto) prende a tal punto il sopravvento da rendere tutto “normale”. La rappresentazione dell’eccesso è il punto morto del film, quello in cui questo biopic perde tutta la sua originalità.
Tra i punti a favore, segno l’adozione di un’aura “favolistica” nella sceneggiatura del navigato Lee Hall che, in qualche modo, giustifica alcuni difetti del film e l’impianto “nero” della storia, come la caratterizzazione assai semplificata dei personaggi e una loro descrizione che ricorda molto quella delle fiabe tradizionali (eroe vessato ma dotato di un incredibile potere, madre/matrigna, padre/patrigno, nonna/fatina, amico fedele, amante traditore, ecc.).
Spettacolari i costumi, che non sono una copia esatta di quelli usati da Elton John (ci mancherebbe pure! Anche se quello del video -rifatto con l’aiuto della cg- di I Still Standing potrebbe smentirmi), ma che, nella loro sfolgorante diversità, esaltano l’incredibile estro estetico che Reggie aveva negli anni Settanta.
Nota (per me) curiosa: gli ultimi due film di Dexter Fletcher sono prodotti da Matthew Vaughn che ha diretto proprio Elton John (nel ruolo di se stesso) nel film Kingsman: Il cerchio d’oro (2017), il cui protagonista è Taron Egerton. Ulteriore cortocircuito: nel film di animazione Sing (2016), Egerton è la voce originale del gorilla Johnny, che conquista il pubblico del musical di Buster Moon cantando proprio una canzone di Elton John ( I Still Standing). Concidenza? “Non credo proprio” (cit.).
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