Recensione su RoboCop

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“La Vecchia Detroit ha il cancro, il cancro è il crimine!” / 1 Febbraio 2017 in RoboCop

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Tre anni dopo il Terminator di James Cameron, compare un altro cyborg che assurge, anche se in tono minore, a icona della fantascienza cinematografica del periodo. Rispetto al predecessore, questo personaggio si pone quasi in antitesi: il Terminator di Cameron è una macchina dall’aspetto umano, il RoboCop del regista Paul Verhoven è invece un uomo diventato macchina, anche nell’aspetto. Personaggio senza sentimenti e completamente negativo il primo, difensore dell’ordine e con fin troppi sentimenti, almeno secondo i suoi programmatori, il secondo.
La storia è ambientata in un non lontano futuro dove anche le forze dell’ordine sono privatizzate. A Detroit, una potente multinazionale, la OCP, per far fronte al crescente dilagare della criminalità decide di dotare la locale polizia metropolitana di un cyborg realizzato con parti del corpo dell’agente Alex Murphy, ridotto in fin di vita dopo uno scontro con dei malviventi. Il nuovo “agente” artificiale è battezzato RoboCop e nelle intenzioni dei suoi creatori non dovrebbe provare più alcun sentimento umano, ma rispondere esclusivamente alla propria programmazione. In realtà gradualmente, in virtù della parte ancora organica del suo cervello, nel cyborg riemergono i ricordi di Alex che lo porteranno alla ribellione contro le direttive della OCP e alla vendetta verso chi lo ha “ucciso”.
Il futuro descritto dal regista olandese, un mondo dove tutto è privatizzato e soggetto alle leggi di mercato, è clamorosamente predittivo di quello che sarà la realtà odierna. Se negli anni ottanta immaginare la giustizia, la polizia, la sanità, le carceri e altri servizi appaltati a società private era considerata fantascienza, non si può più dire lo stesso oggi.
Le “direttive primarie”, con cui RoboCop è programmato, ricordano le famose “Leggi della robotica” di Asimov: servire la collettività, far rispettare la legge, proteggere gli innocenti. Esiste però una quarta direttiva “classificata”, esso lo vincola a obbedire ai dirigenti della OCP, suoi costruttori, anche a discapito delle prime tre, ed è proprio contro quest’ultima che la coscienza di Murphy, sopravvissuta all’interno del corpo metallico, si ribella.
Il film è molto violento e crudo, con spargimento di litri di sangue, mutilazioni e corpi martoriati e sciolti nell’acido. A questo proposito basta ricordare la truculente scena della morte di Murphy, l’immagine dell’agente costretto a terra, a braccia aperte con la mano spappolata da un colpo di fucile, richiama, neanche tanto velatamente, il martirio e la crocefissione di Cristo.
Altro aspetto caratteristico della pellicola sono le abbondanti dosi di umorismo nero e di scene grottesche, soprattutto negli intermezzi dei telegiornali e dei volgari programmi televisivi, che evolveranno negli sconcertanti telegiornali di propaganda nazistoide di un successivo film di fantascienza del regista, il poco compreso Starship Troopers (1998). La satira al vetriolo verso l’America reganiana del periodo, la privatizzazione e il consumismo selvaggio è evidente, e solo un regista non americano come Verhoeven poteva forse renderla al meglio.

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