Recensione su Un pettirosso di nome Patty

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Prima collaborazione Aardman – Netflix / 28 Novembre 2021 in Un pettirosso di nome Patty

Il cortometraggio animato prodotto da Netflix Un pettirosso di nome Patty (Robin Robin) costituisce, di fatto, il ritorno degli Aardman Studios, dopo il secondo lungometraggio della pecora Shaun, Farmageddon (2019).

Questo speciale natalizio è anche la prima collaborazione tra la Aardman Animation e Netflix.
Il risultato è carino, ma, in termini estetici e narrativi, mi pare che non aggiunga nulla alla filmografia degli Aardman Studios.

L’animazione in stop motion (con pupazzetti e oggetti in feltro e non realizzati nei “tradizionali” silicone, plastilina, resina, ecc.) è eccellente (è quasi superfluo rimarcarlo) e i personaggi sono ben caratterizzati dal punto di vista caratteriale.
Ma, qui, manca una buona storia e un’estetica che renda questo lavoro davvero indimenticabile.
Personalmente, se non avessi saputo che si trattava di un corto Aardman, credo che non l’avei capito.

Il breve racconto parla con delicatezza di accoglienza e integrazione ed è perfetto per essere visto da grandi e piccini durante il periodo natalizio, ma, nel complesso, la narrazione è abbastanza convenzionale e il villain (il gatto con la voce di Gillian Anderson) è un fastidioso ed evidente surplus.
A proposito di inserti un po’ forzati, ho trovato molto carina la melodia della prima canzoncina, quella che descrive le tecniche di sgraffignaggio dei topini capitanati da un papà topo (Adeel Akhtar) molto empatico. Le altre due canzoni, quella della gazza (Richard E. Grant) e quella del gatto, sono (per me) leggermente di troppo, dei riempitivi di ispirazione musical-Disney che lasciano il tempo che trovano.

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