Recensione su Requiem for a Dream

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Il maledetto vestito rosso / 21 Giugno 2012 in Requiem for a Dream

Film allucinante, caotico, psicotico, convulso (soprattutto nella parte finale). La storia di quattro realtà isolate apparentemente in contatto, ma tenute insieme da legami labili e inconsistenti: Sara ed Harry ormai sono separati da una voragine incolmabile, il rapporto madre-figlio si riduce ad un superficiale affetto (Harry si preoccupa della dipendenza della madre, ma è troppo occupato a far fronte alla propria per interessarsene veramente); Harry e Marion hanno una relazione amorosa in cui si insinua una fastidiosa “terza incomoda”, la droga (quando questa viene a mancare si fa evidente il fatto che ognuno dei due ama più “lei” rispetto al partner); infine l’amicizia tra Harry e Tyrone, basata anch’essa su un rapporto d’interesse più che su un rapporto fraterno. L’abissale solitudine si nasconde sotto l’apparente compagnia dei quattro personaggi.
Il personaggio che più ho apprezzato è quello di Sara (interpretata da una sorprendente Ellen Burstyn), una casalinga abbandonata dal marito (morto) e dal figlio (tossicodipendente), che si ritrova come unica amica fedele la televisione. Un giorno si presenta improvvisamente a lei una nuova ragione per andare avanti, per vivere: viene invitata a partecipare al suo programma preferito. È l’inizio della fine: lei non è più in gran forma e vuole, deve riuscire ad entrare nel suo vestito rosso (quello per gli eventi importanti). Le diete non funzionano ed ecco che è costretta a prendere ciò che ha reso suo figlio schiavo da tempo: droga, sotto forma di pillole dimagranti. Il punto è: chi non è alla ricerca o ha già trovato il proprio “vestito rosso”? Questo è l’aspetto che mi ha sorpreso maggiormente. Ognuno di noi cerca il “vestito rosso”, la ragione per vivere, per svegliarsi al mattino, per “farsi bello”, per sorridere (come spiega Sara al figlio). Il consumo di droga diventa il “vestito rosso” degli altri tre giovani protagonisti: non si vede come sia cominciata la dipendenza per i tre, ma sta di fatto che se all’inizio la droga è solo un mezzo per evadere, per stare bene e non pensare ai problemi, adesso è la sola ragione di vita (di una pseudo-vita). Certo, come tutti i giovani hanno dei progetti, Marion vuole diventare stilista e aprire un negozio, ma la droga sembra un passaggio obbligatorio per raggiungere i loro obbiettivi. Quando viene a mancare, tutto va a rotoli, dopo l’estate arriva l’autunno e tutto, infine, sembra tendere all’inesorabile inverno, che non lascia neanche una tenue speranza, uno spiraglio di luce per il futuro, I protagonisti vengono inghiottiti dalla stessa abissale solitudine che giaceva in fondo (e neanche troppo) ad ognuno e lentamente si è fatta strada, fino a prevalere su tutto.
La progressiva caduta è accompagnata da musiche incisive e toccanti, che sono parte integrante del film e, soprattutto in alcuni passaggi, ne sottolineano la tragicità.
Questa è una personale interpretazione e ritengo questo film, senza esagerazioni, uno dei migliori che abbia visto finora.

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