12 Recensioni su

Reality

/ 20127.1221 voti

Garrone al top / 27 Aprile 2019 in Reality

dopo Gomorra un altro piccolo capolavoro italiano firmato Garrone.

Orwell napoletano / 10 Novembre 2015 in Reality

Una grande tragicommedia napoletana, tra pop e kitsch, con una interpretazione davvero sensazionale dell’ex galeotto Aniello Arena (storia pazzesca la sua…) in un crescendo di ossessioni orwelliane. Garrone sa confezionare atmosfere popolari fuggendo dal realismo, immergendosi invece golosamente nella fantasia e nel barocco; bellissima la parte iniziale del matrimonio pacchiano, con una stupenda ripresa aerea su una fiabesca carrozza trainata da cavalli bianchi con pennacchio.

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3 Ottobre 2013 in Reality

Grottesco. Poi triste. Mi ha lasciato una sensazione di amaro in bocca…

Quando il sogno diventa dramma / 13 Marzo 2013 in Reality

Quanto mi piace il napoletano…
Mamma mia. E’ musica per me.
Lo adoro.
E in questo film si sente tutta la napoletanità, in senso buono intendiamoci.
La trama purtroppo è tristemente reale, non solo per i napoletani ma per tutti coloro che credono in questo tipo di sogno, folle e inconcludente.
Il protagonista entra in una spirale che lo porterà alla follia più drammatica.
Quando non si vogliono aprire gli occhi e si percorre una strada senza prima avere i piedi per terra si scivola di sicuro e ci si fa male e si fa male a chi ti sta intorno.
Drammaticamente reale.
Bello…
Ad maiora!

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2 Marzo 2013 in Reality

Non ho visto Gomorra. Da Reality mi aspettavo qualcosa di più.
A tratti noioso, mi chiedo cosa abbiano capito di alcuni dialoghi i non napoletani. Ottima la resa dell’ossessione del protagonista.

14 Febbraio 2013 in Reality

Ho letto questo commento che trovo molto azzeccato:

“Non importa se in questa fase trasmissioni come quella (il Grande Fratello) oggetto del film o altre simili stanno subendo sensibili cali di ascolto. Ciò che conta è che il seme è stato deposto e le sue radici sono ben salde.”

Non c’è frase più vera. Purtroppo.
L’aspirazione più grande è fare il Grande Fratello per diventare famosi senza arte né parte….e questo diventa un’ossessione alimentata dal background in cui il protagonista vive.
Mi ha messo un’angoscia e un’amarezza profonda…perché è davvero molto realistico e ti da ancora più conferma di quanto siamo caduti in basso.
Che aspettative e che valori…che vite misere.
Ho letto che l’attore protagonista Aniello Arena ha costruito la sua professionalità attoriale (come autodidatta) in carcere (è un ergastolano da oltre 20 anni nel Carcere di Volterra poiché coinvolto nella strage di Piazza Crocelle a Barra 8 gennaio del ’91, nell’hinterland orientale di Napoli, quando aveva soltanto 23 anni dove morirono in tre) ed è davvero bravo…..si è calato alla perfezione nei panni del personaggio.

Così reale purtroppo e per questo così amaro.
Lo consiglio proprio….per riflettere su che società abbiamo creato.
Che tristezza!!!

P.S. Mi chiedo come uno del nord possa capire i dialoghi 🙂

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15 Gennaio 2013 in Reality

C’è riuscito ancora. Garrone ha firmato un’altra meraviglia dopo Gomorra.
Partendo da fatti (se vogliamo) meno tragici ma trattando un tema importante e “grave” come quello della perdita di vista della realtà, del dominio del mondo patinato, delle illusioni figlie dei reality come realtà 2.0 ideale e premiante, sviluppa una storia ancora una volta ambientata nella Napoli delle miserie umane, coinvolgendo una famiglia e l’eroe della stessa, quel pescivendolo un po’ truffaldino, che cede alle richieste dei familiari e tenta il provino per la casa del Grande Fratello, la panacea ai dolori e i mali della vera realtà.
Da qui, parte la spirale che sempre più stretta avvolge Luciano, interpretato da un superbo Aniello Arena, naturalissimo e sincero, che si allontana dalla realtà per rifugiarsi nelle illusioni, nel sogno di “avercela fatta”, perdendo tutto ( dal materiale all’affettivo, dalla pescheria alla moglie) e sé stesso, costruendosi un proprio “confessionale” o semplicemente sentendosi “osservato” da quell’occhio di distopica memoria, che per Luciano rappresenta conforto e sconforto. Dentro o fuori la casa? Ammesso o no?
Circondato da numerosissimi comprimari (bravissimi), che formano la sua famiglia chiassosa, povera nella facciata e povera dentro, ignorante, speranzosa, cristiana, banale e affettuosa e da figure indistinte sullo sfondo, come l’ex partecipante del GF, Enzo, che ora fa la bella vita con le serate in discoteca e presenziando ai matrimoni ed è il mito della famiglia, oppure come tutte quelle persone che secondo Luciano lo osservano, ,lo analizzano e riferiranno i suoi comportamenti a chi decide il suo destino, ovvero la Casa.
Utilizzando una tecnica registica al servizio dello stato d’animo (la messa a fuoco costante su Luciano e la percezione che che il resto del mondo lo osservi è un modo perfetto per rendere lo spettatore partecipe della stessa sensazione del protagonista) Garrone firma numerose bellissime scene: innanzitutto la scena della discoteca, che è un incubo, un sogno venato di orrore, con le figure danzanti quasi demoniache ed Enzo l’eroe che si libra estatico nell’aria, a un passo dal pavimento, cioè dal tonfo che segue il successo effimero; poi le sequenze d’apertura e chiusura, che si richiamano e tramite simbolismo, o così pare a me, mostrano la vita di Luciano quando c’era a circondarlo la molteplicità ( e dunque la panoramica di una brulicante Napoli) e in seguito, come la sua vita si sia ridotto ad un punto fisso, la sua luce, circondato dal buio più morto ( la scena surreale dell’entrata clandestina nella casa e la telecamera che si allontana sempre più, riprendendo dall’alto un puntino di luce, dove Luciano è beato, attorniato da palazzi spenti, cancellati); infine molte altre scene, quelle di famiglia, dove emerge chiaro e netto lo sconforto e la gioia, la miseria e il lusso più falso.
Coadiuvato da una splendida colonna sonora di Alexandre Desplat, molto fiabesca, quasi burtoniana, ma perfetta per inquadrare l’illusione sovrana che guida tutti e da una fotografia caotica e disarmonica, specchio della vita dei protagonisti, il film procede senza fretta, alle volte basandosi solo sulla musica e sugli sguardi, sempre aggraziato ma pungente e a metà tra triste e comico.
La sensazione che mi ha lasciata è quella di vergogna e pena; sensazioni di cui ero già consapevole e che quasi non scuotono più, quando si lascia da parte il “reality” e lo si traduce in “realtà” ( dei fatti).
Vedetelo.

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13 Dicembre 2012 in Reality

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

A me Gomorra di Garrone non è che fosse piaciuto un granché. Fermo restando che si poneva comunque al di sopra del resto della produzione cinematografica italiana, considerata la bassezza media. Comunque, qui è meglio. C’è questo tale Luciano che è un simpatico coglionazzo napoletano. Si veste da travone alle feste, ha una pescheria e un commercio illecito di robot per la cucina messo su con la moglie. Una bella famiglia, tutto sommato, tutti ignoranti come dei pali della luce ma belli, genuini. Per la figlioletta, partecipa a un provino per il GF in un centro commerciale. Lo fanno andare a Roma a Cinecittà, per un ulteriore provino. Gli dicono che è andato bene, le faremo sapere. Da qui inizia la discesa negli inferi della notorietà, perché la vita di Luciano si metamorfosa gradualmente tutta in funzione della possibilità, che per lui è fin da subito una certezza, di venire chiamato nella Casa. Comincia a spendere soldi che non ha, perché tanto poi li avrà, vende la pescheria, è convinto che emissari del GF lo controllino in ogni momento della giornata per vedere se è adatto. La famiglia dapprima assiste, poi cerca di dissuaderlo. La chiamata ovviamente non arriva mai. Depressione, passa i giorni in casa a guardare il Grande fratello con la sensazione di esser stato derubato di qualcosa. Di una vita che doveva essere sua. É una lenta discesa nella pazzia, come mi ha detto Superlavoratore, che su certi film ci azzecca nel giudizio (ma su altri clamorosamente no, quindi quel che dice lo prendo cum grano salis), pasticche, lenta risalita. Verso la fine sembra avere trovato conforto nella fede, ma è proprio nel finale che il delirio riprende il sopravvento, a segnare il definitivo distacco di Luciano dalla realtà per vivere in un mondo di luci, telecamere, gnocche stupide e specchi. L’unico in cui ormai si senta vivo. Profonda è la riflessione, mascherata da commedia, sulle dinamiche dell’apparire dei giorni nostri, e spietata. L’attore protagonista spacca di brutto, soprattutto considerato che è tipo un ergastolano che ha imparato a recitare in carcere. Eccetera.

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5 Novembre 2012 in Reality

Se guardando il trailer qualcuno pensasse di andare a vedere un film “allegro ” potrebbe forse restare profondamente deluso. Si ride anche , perché alcune situazioni sono comiche e la parlata napoletana dispone di per sé al buon umore , ma la “sindrome da (mancato) palcoscenico” che si abbatte su Luciano , un pescivendolo con una bella famiglia ed una moglie che lo ama , nella sua frustrante attesa di una sperata convocazione nel cast de Il grande fratello portandolo alla depressione , anche se trattata in maniera scanzonata è argomento tutt’altro che comico.
In questa allegoria del riscatto sociale conquistato attraverso fuorvianti ed effimeri “status symbol” la tematica del film mi ha ricordato quella di “E’ stato il figlio” di Ciprì anch’esso presentato al festival di Venezia , ma a parte l’ostentazione della pinguedine e del grottesco di alcuni personaggi, comune in entrambe le pellicole, la similitudine finisce qui.
Un cast costituito da perfetti sconosciuti , peraltro bravissimi , dove fa spicco il Luciano reso da Aniello Arena che , come è ormai noto, è detenuto nel carcere di Volterra con una condanna all’ergastolo.
Un film che non passerà alla storia del cinema ma sicuramente godibilissimo .

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16 Ottobre 2012 in Reality

Bello, appena visto. Unico problema secondo me il meccanismo di ossessione e chiusura da parte del protagonista è un pochino improvviso e automatico. Ma la forza del film è sul realismo del mondo che racconta che è così iperrealista e a tratti surrealista anche (il robottino è straordinario).
Non solo Luciano è uso travestirsi quindi stare sul palcoscenico, ma tutta la sequenza iniziale del/i matrimoni è molto di più di quanto non si dica: l’arabesco, l’iperbole barocca di quel giorno è costruita (al sud) per essere ripresa a favore di telecamera perché passata quella giornata è il vedere il filmino del matrimonio il momento centrale delle visite ricevute a casa. Quindi è già tutta rappresentazione non solo per gli invitati, perché anche gli invitati hanno un ruolo all’interno delle riprese. Difficile capirlo appieno se non se ne condivide la filosofia.
Comunque il senso del rapprsentare, del mostrarsi, vestirsi e travestirsi (tutti rispetto alle loro vite almeno quel giorno sono travestiti per) è centrale in questo tipo di cultura. Ed è sintomatico come si cambi sia all’interno del matrimonio (ci si comporta diversamente perché gli altri ci guardano e ci guarderanno), che all’interno di una trasmissione, che all’interno dell’ossessione di Luciano. Questa riflessione è individuale, con aspetti sociologici, ma volendo si può andare oltre: è il sistema dell’immagine, sin dalla rappresentazione fotografica (la posa, i codici del vestito, del trucco) fino al cinema come atto del guardare. Ma l’idea è continuamente ripresa, Luciano ha la pescheria in una piazza anfiteatro, la sua casa è mostrata come palcoscenico, per non parlare di lui al balcone.
L’ossessione di essere osservati, ripresi muta il modo di essere, c’è una trasfigurazione religiosa dettata dalla figura dell’amico, il gesto di Luciano però ha un afflato comunque assolutamente diverso, la sua follia è semplicemente esacerbata da questa scelta socialmente estrema (tutte le parole della moglie sono significative in merito), ma la sua idea di altruismo è essere giusti per la TV (ok, si potrebbe discutere a lungo sul senso di “bontà” che le religioni impongono, lo si fa senza doppi fini oppure per ottenere qualcosa?). Ed è per lo meno bizzarro come egli si convinca che debba essere meritevole in senso etico per entrare nel cast televisivo e che non debba invece darsi a comportamenti “amorali”, come sembra che invece accada normalmente (c’è una punta di Europa ’51 riveduta all’oggi)
La Tv è una via di fuga dalla povertà che si innesta nella piccola truffa che coinvolge tutto il quartiere, di conoscenza in conoscenza, questo primo spaccato è lo specchio dell’italia: gli stessi meccanismi portati su larga scala sono la rappresentazione più veritiera della nostra economia. Ma è una fuga che in un primo momento può sembrare sensata almeno fino a quando se ne riconosce l’alterità, poi in effetti il modello televisivo è solo la replica di quel momento incantato del matrimonio in cui tutti sono splendenti, sbrilluccicanti, sorridenti, in perenne recita.
La confezione è davvero bella, i lunghi piani sequenza avvolgenti e a me è piaciuta la colonna sonora perché si sposa perfettamente con l’iperrealismo da favola nera.
Scena al top, la moglie che strucca Luciano, bellissima e tragica, ancora nulla è accaduto, ma lui è una maschera attoriale triste seppure nella piena condivisione con la moglie.

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Davvero un bel film ! / 10 Ottobre 2012 in Reality

Tutto bello in questa commedia molto malinconica … si ride ma amaro .. e poi delle volte si respira un clima surreale che rende ancoar più bello il film … per me ben riuscito !

8 Ottobre 2012 in Reality

Ho apprezzato questo film per la sua messa in scena iper-reale: una bella fotografia, con colori saturi e chiassosi e dettagli epidermici vivissimi, bella scenografia e -pressoché inutile dirlo- ottime facce.
Aniello Arena, la cui fisionomia è erede diretta di quella del giovane Stallone, ha un viso magnifico, specchio perfetto del carattere del suo personaggio, sognante e, a suo modo, ingenuo. Tutti i comprimari ed i caratteristi di contorno, poi, con corpi e tratti somatici volutamente “carichi”, sono degni di nota: da Nando Paone a Nunzia Schiano, passando per la convincentissima Loredana Simioli, perfino i bambini sono a loro agio in questa impietosa rappresentazione di una parte del vivere comune.

Detto questo, mi preme dire che, nonostante le grandi premesse ed un buon svolgimento, Reality non è un’epifania cinematografica: il delirio del protagonista, Luciano, scorre pesantemente e genera pura angoscia nello spettatore. Fin dove potrà spingerlo la sua visione distorta della realtà? Dalla metà in poi, la pellicola rallenta il ritmo ed insiste più volte su concetti assodati.

Quel che più mi ha inquietata è che, pur essendo evidente fin dall’inizio quanto Luciano sia affascinato dalla notorietà (ridicola) dei piccoli divi televisivi, egli viene spinto al passo “estremo” dalla famiglia e, particolare ancor più agghiacciante, dalle figlie, neppure adolescenti.
La base è marcia, signori miei. In quelle menti impuberi, germoglia senza freni un’ambizione effimera ancor più vacua di quella di Luciano. Ed è stato questo il vero dramma, per me.

Luciano è un uomo disilluso che, a differenza dei suoi parenti, però, ha conquistato una certa sicurezza personale: pur vivendo nello stesso, scalcinato palazzo della sua famiglia, il suo appartamento, a differenza degli altri, è dignitoso, ordinato, ben arredato. Non che il resto dei parenti non aspiri ad un presente dignitoso, ci mancherebbe, ma -come dire- si accontenta di galleggiare, campando di suggestioni in prestito, come quella della desiderata notorietà di Luciano.

La follia del protagonista, in definitiva, è stolida, poiché si basa su un’aspirazione vacua, priva di valore (se non quello economico): è emblematica la sua considerazione: “Voglio avere il problema di gestire il denaro”, dichiara. La sua vita basata sulla fatica e sulla precarietà reclama un guadagno finalmente immediato e privo di incertezze, il che non è condannabile, in effetti. Ma si tratta di un desiderio esacerbato, inquinato, e lo sguardo di Luciano ammaliato dallo schermo televisivo su cui scorrono immagini di grande pochezza la dice lunga su quanto il suo sogno originario sia ormai corrotto.

In definitiva, pur trattando con mestiere l’argomento, Garrone è, qui, molto lontano dai grandi risultati formali de L’imbalsamatore: non posso negare, però, che questa sia un’opera comunque interessante, se non dal punto di vista narrativo, un po’ claudicante, certamente da quello estetico: oltre alla già citata fotografia, concorre all’ottimo effetto “sensoriale” anche il commento musicale di Alexandre Desplat.

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