Recensione su Ready Player One

/ 20187.0301 voti

Dove c’è il Gigante di Ferro c’è casa. / 1 Aprile 2018 in Ready Player One

La descrizione che voglio fare di questo film, va oltre le solite recensioni che cerco di scrivere ogni volta, dopo ore ed ore di lambiccamenti vari ed eventuali, analisi e ragionamenti (quasi mai forieri di originalità, devo ammettere…). Questa volta voglio essere schietto.

Tratto dal romanzo di Ernest Cline, (Ready) Player One, è un piacere per gli occhi: con i suoi colori e le sue luci incredibili, e per le orecchie: con un grandissimo Alan Silvestri e qualche vecchia hit anni 80.
La trama, dal canto suo, si dipana velocemente, con accelerazioni che spesso sembrano scoprire leggermente il fianco a degli strappi narrativi.
Tuttavia, nonostante questa costante posizione di bilico, l’impianto pare tenere perfettamente.

Personalmente, la sensazione che ho avuto è che tra tutti questi e gli altri elementi, quelli positivi e quelli negativi, si intraveda un certo tipo di idea di film. L’impressione è che perfino i difetti, le apparenti superficialità, rispondano ad una logica semplice, ma efficace. Un progetto, dunque, che Spielberg ha costruito con estrema facilità, tornando a confezionare quello che gli è sempre venuto fin troppo bene: un film di intrattenimento.

Come da consuetudine, i personaggi sono lineari, la storia è poco elaborata ed avvincente, per qualcuno troppo semplice e poco originale ma, per me, devo dire, il meccanismo funziona e l’orologio, a modo suo, gira.

Ma veniamo alla storia.
Terra, anno 2045, Wade Owen Watts, il protagonista, è un adolescente con problemi di famiglia che possiede una tuta e dei guanti aptici, visore VR d’ordinanza ed è un “Gunter”, una specie di videogiocatore professionista.
Wade, infatti, equipaggiato com’è, gioca praticamente, sempre e solo, ad una specie di super “massive multiplayer online role-playing game” ultra immersivo, chiamato “Oasis” ( che non c’entra niente con la San Benedetto e la sua bibita a base di frutta).

Fin qui, insomma, tutto ok. Siamo nel futuro e i ragazzi giocano ai videogiochi, sai che novità.

Il punto è che la quasi totalità della popolazione mondiale fa la stessa cosa di Wade…
Praticamente, su Oasis, questo mondo virtuale, infinito, visionario e fantastico, creato dal geniale programmatore James Halliday, ci “vivono” più o meno tutti: uomini, donne, vecchi, adulti, ragazzi e bambini.
Gli esseri umani, invece di curarsi delle rispettive vite nella realtà materiale, ormai noiosa priva di stimoli e, per molti, senza aspettive che superino l’abitare in una sudicia roulotte, ogni giorno si svegliano, inseriscono username e password e giocano (ludopatia, portami via).
D’altronde, come biasimarli, puoi essere chi vuoi e fare altrettanto su Oasis, che senso ha il resto ?
Addirittura ci si può arricchire e provare vere sensazioni tattili (si può ballare il “tuca tuca” con Raffaella Carrà e sentire i suoi diabolici e peccaminosi tocchi, proprio come se fosse vera), chi non ci passerebbe tutto il tempo ?!

In questo pazzo, pazzo mondo del 2045, da un lato ci sono Wade, il talentuoso ma povero protagonista, e il suo gruppo di amici nerds, dall’altro la IOI, una potente multinazionale pronta a tutto pur di acquisire ancora più potere e denaro. Niente di più, niente di meno. Buoni contro cattivi, ricchi contro poveri.

Nessun errore di valutazione, nè faciloneria, perché, in fondo, Ready Player One è una favola, ambientata in un futuro distopico dove non c’è niente di veramente catastrofico, derelitto, spaventoso o angosciante (e già questo è strano per i futuri decadenti ai quali ci hanno abituati). Chissà, forse è perché ci sono di mezzo gli anni ottanta, con il loro ottimismo a tutti i costi e le loro colonne sonore pop, capaci di far sembrare familiari, normalissimi, quasi piacevoli i peggiori sobborghi di New York o di Detroit. Oppure, più probabilmente, perché Steven Spielberg ci ha voluto riportare nostalgicamente indietro nel tempo, quando il gioco, il divertimento, l’immaginazione e la fantasia, nella loro purezza, erano davvero una risorsa, un valore aggiunto, una ricetta, una spinta a vivere meglio. Mi vengono subito in mente film come: Incontri Ravvicinati del Terzo Tipo, E.T., Jurassic Park, Ritorno al Futuro, i Goonies, Navigator o Explorers…e chi più ne ha più ne metta !
Non è un caso, pur non essendo Ready Player One all’altezza di alcuni di questi, che durante la visione del film, lo spettatore venga sommerso di citazioni, messe qua e là con quella stessa intelligenza, disinvoltura ed anche poca originalità con cui prima si puntava l’inquadratura su una lattina di Pepsi, su delle Nike o su una DeLorean nuova di pacca.
Può darsi che alla pubblicità per il prodotto commerciale di una volta, oggi si sia sostituita quella per la stessa industria cinematografica.

Comunque, non so, forse avevo bisogno di un giro al Luna Park, di un’esperienza non troppo cervellotica o pesante (infatti il giorno dopo per compensare sono andato a guardare Hostiles), di sedermi sulla mia poltroncina del cinema, guardarmi intorno distrattamente, fulminare con lo sguardo il temibilissimo “regazzino col cellulare acceso al massimo della luminosità che chatta tutto il tempo” sempre presente -ma che ci vieni a fare al cinema se devi guardare facebook?-, staccare il cervello e godermi lo spettacolo. Chissà…

Tuttavia, Ready Player One mi è piaciuto non solo per l’evidente effetto nostalgia che può certamente fare e che fa, ma anche e soprattutto perché lo reputo, tutto sommato, un buon film d’avventura, capace di divertire senza annoiare e di mettere insieme davvero tantissimi elementi, citazioni e richiami, quasi sempre già visti e sentiti, ma senza mai superare un certo limite.

Lascia un commento