Un classicone che ebbe un grande successo di pubblico, soprattutto nell’America di Reagan per la sensibilità al tema del Vietnam, delle armi e del trattamento dei reduci, ma anche nel resto del mondo, sebbene per altri motivi (l’azione, il tema dell’uomo contro tutto e tutti).
Un film che si presta a questa duplice lettura, da un lato di riuscitissimo monito sociologico (gli americani avevano, per la prima volta, perso una guerra e tendevano a rifiutare la cosa emarginandone i protagonisti, nel clima, peraltro, di una coda pacifista residuata dagli anni ’60 e ’70); dall’altro del classico film d’azione-misto-guerra (il Colonnello Trautman di Richard Crenna è una figura molto tradizionalista, anche nell’interpretazione).
90 minuti che scorrono velocissimi in un ritmo pressoché perfetto.
La fotografia cupa, insatura, di Andrew Laszlo (lo stesso de I guerrieri della notte) si adatta perfettamente all’ambientazione dell’inverno del nord-ovest americano, tra le foreste e i monti dello stato di Washington.
Stallone, che non è sicuramente uno dei migliori attori che il cinema ricordi, ha la fortuna di indossare una pellicola che sembra fatta per lui e a cui regala qualche momento discreto, da un lato grazie al suo fisico da culturista, dall’altro per un’espressività tanto strampalata quanto calzante in momenti come quelli del monologo finale.
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