20 Novembre 2013 in Rabid, sete di sangue

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Da leggere ascoltando:

Personalmente adoro quei film che volano basso, partono da qualcosa per arrivare ad altro.
Quelli che apparentemente sono film “leggeri” “poco impegnati” e che poi lasciano un messaggio più o meno profondo. Un po’ come fece Ferrara nel ’95 nel suo “The Addiction” o ancor prima Romero nel ’68 con “Night of the living dead”.
Rabid -sete di sangue- di David Cronenberg è un bel film ruotante attorno a una coppia di giovani fidanzati. In seguito ad un incidente (da notare come negli anni ’70 al regista la moto gli aggradava) la tipa rimane gravemente ferita.
Non mi sembra questo il luogo adatto per sentenziare sull’improbabilità dell’incidente nonché la miopia e l’astigmatismo del ragazzo alla guida, ragazzo che non ha evitato un camper in una zona pianeggiante.
Rose, è questo il nome della ragazza, viene così operata da un medico incline alle posizioni del dr. Mengele. Il tutto in una clinica privata.
L’operazione è delicata, viste le ustioni sul corpo viene fatto un trapianto di pelle, e le costa un mese di fermo nella clinica della vergogna.
La caratteristica del film è quella di essere un distinto punto di incontro fra vampirismo ed erotismo. Dopo l’operazione infatti qualcosa in Rose cambia. Il trapianto fa reazione, apparentemente Rose è uguale a prima ma da questo momento per sopravvivere dovrà prelevare il sangue attraverso un pungiglione fallico. Cronenberg rielabora a modo suo il vampirismo. Non morsi ma penetrazione conclusa con l’orgasmo e la diffusione del morbo. Una peste moderna che potrebbe essere circoscritta qualora Rose rimanesse nella clinica… cosa che non accade.

Rose infatti riesce a fuggire ed arrivando in città, “penetra” maschi, femmine, cani e porci.
In poco tempo il Paese è sotto legge marziale, tutti vivono in un clima di sospetto reciproco e nessuno è salvo. Devo ammetterlo, la tipa ha più stile di quelle puttane che negli anni ’90 incontravi in discoteca, ti si fottevano e ti lasciavano un biglietto allo specchio con scritto “benvenuto nell’Aids”.
E’ una storia vera, è successa a mio cugggino.

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