Questione di Sguardi

Visto in occasione dell’edizione online dell’Italian Horror Fest 2020, organizzata da Luigi Pastore, ideatore e direttore artistico del festival, nonché rivisitata a causa dell’emergenza Covid. La giuria era composta da Lamberto Bava, Luigi Cozzi, Claudio Simonetti, Antonio Tentori e Paolo Nizza e il cortometraggio venne decretato vincitore all’unanimita “per aver saputo creare un’atmosfera di tensione in crescendo, fino ad una spiazzante conclusione”. Credo che l’abilità del regista sia stata proprio quella di districarsi con mestiere tra diversi generi cinematografici, offrendo più livelli di lettura ma, soprattutto, l’aver raccontato molto bene una fobia – l’oftalmofobia nel caso specifico – non una paura comune, però per quelli che la patiscono molto severa. Ottime le prove degli attori, Alberto Di Stasio (conosciuto ai più per la serie e il film di “Boris”) e Roberta Nevola, che interpretano al meglio l’evoluzione che i due personaggi subiscono nel corso della storia. Originale la sceneggiatura con rimandi ai film “Hard Candy” di David Slade e “The Best Offer” di Tornatore.

Soggetto interessante, un vero e proprio thriller psicologico, con numerosi spunti narrativi e di analisi che, però, non mi pare trovino completo sviluppo né piena affermazione nel finale.
Il tema dell’ossessione compulsiva è drammatico ma affascinante e ben si esplica nella reclusione volontaria e sofferta del protagonista, sufficientemente ben definita, con una non vana insistenza su precisi dettagli (su tutti, l’uso del telefono cellulare, che in apparenza rappresenta l’unico contatto dell’uomo con il mondo esterno, ma che è anche trappola, elemento salvifico e, infine, tra i simboli distorti della sua alienazione, insieme all’ordine personale ed un’apparente cura della casa).

Tra i punti a sfavore di questo corto, ho trovato troppo repentino il disvelamento finale che rivela la seconda ossessione fondamentale della vicenda: mi sento di imputare questo “difetto” alla indefinita caratterizzazione del personaggio della ragazza, poco “leggibile”, soprattutto nelle azioni.
Il pretesto con cui entra in casa dell’uomo, per esempio, è così labile da far sorgere nello spettatore sospetti inutili ai fini del racconto: in breve, non è possibile comprendere se la ragazza sia in buona fede o meno. Non si tratta di ambiguità: piuttosto, è come se qualcosa, nella definizione della situazione, sia stato omesso.
La coincidenza ‘incredibile (ma plausibile, dopottutto) che lega i due personaggi, poi, viene recepita come tale solo quando la ragazza la rende esplicitamente nota, ma vi si giunge troppo all’improvviso per apprezzare gli scarti che essa genera nel contesto: la rabbia di Sonia non sembra avere presupposti, non coinvolge, né -all’estremo- affascina. In realtà, la ragazza è un personaggio particolarmente complesso, segnata da un dolore che sembra averla letteralmente scissa in due: peccato che tale dualità caratteriale emerga così malamente.

Valido ma poco sfruttato il dettaglio animalier (retaggi argentiani, in questo lavoro) del bracciale al polso della ragazza nella sequenza finale: richiamato anche nella locandina, l’occhio del pavone ha un valore ben più che formale (ovviamente, fa riferimento all’ossessione del protagonista legata allo sguardo e alle ferite agli occhi che Sonia infligge a Marco), ma compare tanto fuggevolmente da non essere immediatamente riconducibile al tema portante del corto.

Nel complesso, il corto è tecnicamente molto buono: ho apprezzato particolarmente la fotografia, concentrata sui volti degli attori fino a sviscerarne l’epidermide e virata su toni freddi, a tratti quasi glaciali, e il montaggio, decisamente efficace.