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Qualcosa di speciale

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La seguente recensione è tratta da: http://apaci.altervista.org/qualcosa-di-speciale/ / 19 Aprile 2014 in Qualcosa di speciale

Il protagonista del film è Burke Ryan, un terapista che, persa la moglie in un incidente, decide di scrivere un libro sul superamento del dolore in seguito alla perdita di una persona cara. Raggiunta la fama, inizierà a tenere seminari, e in uno di questi conoscerà Eloise, una giovane fioraia molto sfortunata in amore.

I due protagonisti, Aaron Eckhart e Jennifer Aniston, sono indubbiamente bravi, e sicuramente contribuiscono a rendere il film più carismatico-*.

L’idea che sta alla base della trama è buona, senza particolari colpi di scena e piuttosto prevedibile in alcune parti, ma non per questo meno godibile. Nello sfondo della storia d’amore che sembra nascere, vi è l’evolversi del seminario che lascia lo spettatore a chiedersi se il protagonista faccia tutto ciò che fa per se o per gli altri.

Il fatto che durante il film vengano dispensate numerose perle di saggezza su come affrontare la vita e combattere la depressione mi è piaciuto molto. Il messaggio che ci vuole trasmettere è probabilmente riassunto nella frase inziale “se la vita ti dà dei limoni, fatti una limonata”: in parole povere guarda avanti, e sii felice di ciò che hai.

In definitiva questo film è stato massacrato dalla critica, ma io, probabilmente anche per via della mia grande inesperienza cinematografica, non ci ho visto tutto questo male. Lo sviluppo della trama mi è piaciuto e il finale mi è sembrato abbastanza strappalacrime. Lo consiglio, anche se probabilmente c’è di meglio.

Voto: 3/5

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Quel che resta dell’Hollywood style / 25 Giugno 2012 in Qualcosa di speciale

Qualcosa di speciale è il subdolo manifesto di quello che resta del cinema hollywoodiano,con tanto di salsa romantica e mancanze varie. Vorrebbe essere il Tra le Nuvole delle vite complicate,ma è solo un triste e non curante della realtà soggetto ad evoluzioni di personalità e umore che risentono di un’inadeguata cornice socio-culturale e di un’inenarrabile storia,che sembra sempre di contorno. Sarebbe,come il film di cui ho parlato sopra,ma Eckart non è Clooney e soprattutto Camp non è Reitman. La storiella è al massimo paragonabile ai racconti introversi e psicologici à la Remember Me,ma con molta meno grinta e voglia di mettersi in gioco. La Aniston dovrebbe essere la donna che fa riscoprire ad Eckart di essere un uomo e quindi di poter amare,ma sembra più una semplicissima amica,che una focosa amante,che una femme fatale. Naturale,pensandola come gli sceneggiatori del film,tirare fuori,a mò di talk televisivo pomeridiano,tutti i fatti tristi della vita delle persone: C’è chi ha perso il figlio,chi non riesce a darsi pace per la morte di un caro,chi ha ucciso e se ne pente amaramente. I due protagonisti,poi,sono uno più out dell’altro. La Aniston,che recita come se dovesse prendere una scossa d’elettricità da un momento all’altro,ha paura d’amare(oh,che novità!) e non vuole relazioni serie. Eckart,che sarebbe un buon attore,viene relegato in una parte che evidentemente non fa per lui,e non si cala nella parte. Interpreta uno scrittore che ha perso la moglie in un incidente d’auto e riscopre o almeno tenta di riscoprire l’amore. Lo zuccherossimo finale,da diabete,è l’unica parte del film in cui non ti sfiora il desiderio di spaccare la tv e ballare sulle sue ceneri. Camp costruisce una vicend incentrata più sul cercare la lacrima a tutti i costi,che sul creare sul serio vere emozioni pure. Probabilmente assimilato al cinema di Nick Cassavetes,Qualcosa di speciale è il Closer dei poveri,che non detiene nessunissima riuscita e fallisce perfino nel tentativo di ricrearsi e piacersi. E quando nel finale pretende perfino di sfociare in una fin troppo facile sorpresona,che fa cambiare(anche se non di tanto) il giudizio sul protagonista,il film tocca il suo fondo più totale. Insomma,il cinema hollywoodiano,quando non è impegnato a mandare omini blu su pianeti sconosciuti o a continuare all’infinito saghe leggendarie(?),deve ricorrere alla sua classicità. Peccato che il tono classico,in una vicenda che tenta di aprire una parentesi sul presente,stoni. E allora è proprio qui che casca l’asino,e il film di Camp.

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