Poco convincente / 15 Febbraio 2018 in La genesi di Wonder Woman

Il film ha il merito di portare l’attenzione sulla singolare carriera di William Moulton Marston, inventore – con il contributo in entrambi i casi della moglie Elizabeth Holloway – della macchina della verità e del personaggio di Wonder Woman, e sulla sua singolare vita amorosa, che lo vedeva impegnato in un ménage à trois con la moglie e un’allieva, Olive Byrne. Gli aspetti positivi si fermano però qui. La regia non riesce infatti a rendere mai del tutto convincente la vicenda: i personaggi si lasciano e si riprendono senza motivi veramente cogenti; scene come quella della sorority o dell’amore rivelato attraverso il poligrafo appaiono goffe e incredibili. Contribuisce a quest’aura di artificiosità anche il fatto che, contrariamente a quello che succede nel film, nella realtà il triangolo amoroso mancasse quasi certamente di un lato (non c’è nessuna prova di un rapporto sentimentale tra Elizabeth e Olive), e che le due donne non somigliassero nemmeno lontanamente alle sfolgoranti attrici che le interpretano. Potrebbe in effetti sorgere il sospetto che il film abbia cercato di puntare sugli aspetti scabrosi della vicenda; ma in realtà si rivela tutto sommato abbastanza casto, almeno per gli standard contemporanei: si intravede a malapena un seno, mentre ai temi BDSM si allude continuamente senza però quasi mai rappresentarli direttamente.
Rebecca Hall sembra un po’ legnosa, probabilmente nel tentativo non del tutto riuscito di rappresentare una donna seria e determinata, mentre Luke Evans sorride un po’ troppo. Meglio Bella Heathcote, già vista e apprezzata nella serie tv The Man in the High Castle.

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