Recensione su Prisoners

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7.5 / 18 Novembre 2013 in Prisoners

Denis Villeneuve abbandona le lande canadesi e si sposta ad Hollywood, portando con sè il grigiore di una storia che pesca a piene mani dalla cronaca nera americana e non solo. In un clima freddo, piovoso ed invernale, magistralmente reso da una fotografia metallica e quasi acromatica, prende corpo la storia di vendetta di un padre, sempre più vittima della sua ossessione. La perdita della figlia scatena una rabbia cieca che pervade completamente il pover’uomo (un grande Hugh Jackman, che probabilmente otterrà la candidatura all’Oscar per questa parte) e che si indirizza sul probabile sospetto (Paul Dano, uno con la faccia giusta per queste parti…) come un uragano. Ma il suo non è un ruolo alla Io vi troverò, con un padre ossesionato e capace di rovesciare una città tra inseguimenti e pestaggi. Anzi, il ritmo del film è lento, si adatta perfettamente alla regia elegante di Villeneuve e concede spazio alle sensazioni contrastanti di quest’uomo, dedicandosi allo svolgimento della trama nella seconda parte. Per buona parte del film Villeneuve si sofferma su Jackman, sul suo contrasto tra fede e disperazione, sulla lotta che intraprende tra giusto e sbagliato e sul suo procedere sul filo del rasoio, in equilibrio tra razionalità e follia.
A far da contraltare a Jackman c’è un ottimo Jake Gyllenhall che con i suoi tic descrive il detective che si occupa delle indagini, un uomo che cela sotto la razionalità un passato forse non troppo lineare e un carattere non propriamente moderato.
La sceneggiatura ogni tanto scricchiola, occhieggia alle convenzioni hollywoodiane e il finale forse non convincerà molti ma l’impianto è solido e il confronto tra i due attori e i loro personaggi regge.
Probabilmente non c’è lo stesso pathos che c’era ne La donna che canta ma d’altro canto questa è una storia diversa che, in fin dei conti, dopo tutto quello che ci propinano i tg non sembra neppure troppo inverosimile.

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