20 Luglio 2013 in La vedova del pastore

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

(sette stelline e mezzo)

Seconda opera (anche se da quel che so è stato girato dopo Pagine dal libro di Satana) di Dreyer, e la prima di molte ad essere girata al di fuori della Danimarca (paese dove il regista non è mai stato apprezzato appieno), Prästänkan, alias La vedova del pastore, si rifà ad un fatto realmente accaduto in Norvegia, dopo la riforma protestante del 16° secolo: era uso a quel tempo che la vedova del marito venisse proposta (o imposta) in moglie al successore del defunto, e vi fu in particolare una donna, Margarete, che si sposò ben quattro volte, al punto che si insinuò fosse una strega.
Una simile storia è per Dreyer il pretesto ideale per attaccare le istituzioni sacre del matrimonio (come fece in The President) e della chiesa, dirigendo un film delizioso, ambientato negli splendidi paesaggi norvegesi, certosino e maniacale nella perfezione di ogni dettaglio (qualità che del resto contraddistingue la sua filmografia) e paradossalmente con molte scene comiche a dispetto del tema trattato. Nei primi tre quarti del film infatti il film ha un tono molto leggero: prima la divertente scelta del nuovo pastore tra due universitari e il protagonista, un povero e non molto istruito ragazzo, poi la vita di quest’ultimo sposatisi con la dispotica vedova Margarete e tutti i suoi esilaranti e maldestri tentativi di poter star da solo con la fidanzata (che ha spacciato per la sorella) o di spaventare a morte l’arcigna vecchia pur di levarsela di torno. E’ evidente che i desideri del ragazzo sono impossibilitati dal matrimonio contratto, un matrimonio del resto senza affetto e puramente d’interesse (per la vedova che non vuole lasciare la canonica, per l’uomo che ha disperato bisogno di lavorare), ovvero è presente come in The President o Dies Irae una profonda contrapposizione tra il desiderio e la legge che lotta per annullarlo.
Nell’ultima parte invece Margarete passa dall’esser vista come una vecchia tiranna ad una donna triste e malinconica che una volta provava le stesse emozioni dei giovani. Resosi dunque conto di essere un ostacolo al loro, preferirà lasciarsi morire in silenzio (chissà, magari con qualche sortilegio, da brava strega che si rispetti) permettendo ai due di potersi finalmente sposare.
Il finale è desolante: i due giovani, vestiti di tutto punto (la donna con indosso i vestiti della vedova) sono davanti la tomba della donna e dicono quanto le sono grati per averli aiutati a diventare persone perbene, a trovare cioè un posto nei rigidi schemi della società. Ora sono solo due pedine del sistema, ben diverse da quei due ragazzi che all’inizio del film attraversavano il torrente saltando da una roccia all’altra. Così come il torrente rappresenta lo scorrere della vita, il cimitero indica la sua cessazione.

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