Un dramma in costume fortemente simbolico nella sua allegoria, legato visceralmente alla poetica del ricordo, dell’attimo ripetuto nel tempo / 28 Dicembre 2019 in Ritratto della giovane in fiamme
Era dai tempi di ”Lezioni di piano” che non ammiravo una pellicola così mirabilmente intessuta di silenzi. Silenzi, mai avari di parole.
Come la Campion nel 1993, Céline Sciamma con il suo ”Ritratto della giovane in fiamme” sceglie di dosare bene le parole, per vestirle di un’eleganza discreta, misurata, tratteggiata da slanci e dolori che si compenetrano tra di loro.
Il riguardo nei dettagli, nelle inquadrature che catturano l’immagine levigando l’irta prospettiva del tatto, assumono nella pellicola contorni delicati, raffinati, che risaltano nel minimalismo degli ambienti.
‘’Ritratto della giovane in fiamme’’ cerca di rendere meno marcato nel contesto storico di fine settecento, il concetto di uniformità sessuale, andando a scandagliare le selvagge coscienze e le acerbe passioni di un amore connaturato e intenso.
La sceneggiatura riempie quei pochi spazi vuoti lasciati dagli sguardi, attenti nel cogliere le più piccole espressioni. Sguardi limpidi e seducenti, sudari di battiti e respiri, che ne ricoprono le nude austerità.
Un dramma in costume fortemente simbolico nella sua allegoria, legato visceralmente alla poetica del ricordo, dell’attimo ripetuto nel tempo.

Beh, ouh, com’è come non è, ho pensato continuamente a Lezioni di piano, mentre guardavo il film della Sciamma, fin dalla prima scena, quella in cui Marianne arriva via mare (e, tra l’altro, si getta in acqua per recuperare le tele scivolate dalla barca). E, poi, il segreto legato a un atto creativo di natura artistica, l’amore clandestino, l’esaltazione del femminino…
Ero sicuro che avresti colto i riferimenti! 🙂
@inchiostro-nero: allora, possiamo dire che la Sciamma ha imparato (anche) da una gran maestra come la Campion 😉
@STEFANIA: si, certamente, e in questa pellicola è lampante l’affinità con il lavoro della Campion, regista dal linguaggio unico.