A fronte di un impressionante apparato formale, questo mi è parso il “peggior” film di Matteo Garrone realizzato finora.
Mi spiego meglio. Mi sembra quello più banale, perché, sì, propone tutti i temi cari al regista romano (la metamorfosi, l’orrido, il percorso formativo – in questo caso, “ascendente”- del protagonista, ecc.), ma senza (r)innovarli in alcuna maniera, se non proponendo un protagonista-bambino, cosa che, finora, non aveva mai fatto (a memoria mia) in maniera visivamente esplicita (tutti i protagonisti dei film di Garrone, a mio avviso, sono piccoli che maturano dolorosamente nel corso del racconto, ma, finora, si è trattato sempre di adulti con un animo da bambino, mai di ragazzini dal punto di vista anagrafico) .
Sicuramente, è il film di Garrone più nazional-popolare, per ovvi motivi. Il che non è necessariamente un difetto, ci mancherebbe. Ma, nell’alveo del cinema smaccatamente di genere che ha già deciso di trattare il regista, mi pare un passo indietro rispetto al magniloquente e, secondo me, più intrigante Il racconto dei racconti (2015).
Ho apprezzato tantissimo scelta delle location (paese di Geppetto a parte, unica mia nota personale di demerito al pregevole lavoro del location manager Gennaro Aquino), scenografie (bellissima la camera da letto ammuffita e polverosa della Fatina), trucco e parrucco (fantastici la Lumaca di Maria Pia Timo, il cane Medoro e il giudice gorilla di Teco Celio) e l’esaltazione del gusto per il pauroso che si esplica benissimo soprattutto nelle scene in cui sono presenti il Gatto e la Volpe (ottimo Ceccherini), specie quando spizzicano all’Osteria del Gambero Rosso e i rumori di scena diventano infernali e spaventosi.
Meno felice, invece, mi è sembrata la scelta degli attori più giovani, a partire da quello selezionato per interpretare il pur difficile ruolo di Pinocchio (Federico Ielapi): per esempio, la piccola Fatina (Alida Baldari Calabria) è di una bellezza diafana incantevole, esaltata da minuscoli dettagli come le impalpabili ciglia turchine, ma, detto fra noi, non dovrebbe aprire bocca.
A latere (ma questo dettaglio non ha influito in alcun modo sul mio voto complessivo), comprendo che il tempo sia un fattore tiranno, ma, visto il taglio correttamente cupo del lungometraggio, avrei molto gradito altre parentesi letterarie macabre omesse nel film, come la morte della Fatina e quella di Lucignolo.
Nota di colore: nel cast del film, c’è anche Nino Scardina (Omino di burro), doppiatore attivissimo negli anni Settanta e Ottanta. Era praticamente sempre il cattivo degli anime: avete presente Mister X de L’uomo tigre? Il corvo Cra Cra di Bia? Biscus di Lalabel? L’è semper lù.
Altro revival 80’s: il Grillo Parlante e la marionetta di Pantalone sono interpretati da Davide Marotta, che, in un noto spot di quasi 40 anni fa, pronunciava il tormentone: “Ciribiribì Kodak!”.
Leggi tutto