24 Giugno 2013
Pietà è un film che ha nell’equilibrio il suo valore più grande. Inizialmente ero un pò freddo nei confronti del lavoro di Kim Ki Duk e non per mancanza di stima nei confronti del regista quanto perchè c’è una forte tendenza orientaleggiante che muove le giurie della Mostra del cinema di Venezia. Invece, Pietà è un’opera che funziona come un carillon, armonica in tutte le sue parti, a cominciare dagli interpreti i cui volti sono più che perfetti per i ruoli.
Il tema della famiglia che si dissolve e si ricompone travalica i legami di sangue, mette in rilievo gli affetti ed i sentimenti, demolisce le asprità e la crudeltà e si incastra perfettamente con quello della vendetta.
Come se non bastasse, il riferimento all’impoverimento sociale e ad una crisi che costringe ad un crescente indebitamento i piccoli artigiani trova sbocco nell’umanità di questa “anomala” famiglia. E’ molto bella la scena in cui il protagonista sale in cima ad un palazzo e contempla la città in cui i grandi grattacieli si ergono sopra la baraccopoli. Anche la metafora del cibo è funzionale, credo, a questo tipo di discorso e viene usata in maniera molto sottile.
Contrariamente ad altri, questo film entra nell’animo con gentilezza, si fa spazio e si imprime nella mente che a posteriori rimugina sui due personggi che potrebbero benissimo essere le due figure della Pietà di Michelangelo.

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