7 Aprile 2015 in Diario di un ladro

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Grandi mani veloci toccano, perlustrano, decidono e arraffano, nelle tasche di ignari passanti, in luoghi affollati e bianco e nero di una Parigi d’autrefois. Michel s’arrabatta (quasi bello come dire guazzabuglio) in una scrostata camera in affitto. Cerca poco convintamente lavoro. Un giorno, alle corse dei cavalli, anche se non so voi ma io alle corse dei cavalli non ci son mai stato, invece all’estero e nei film van tutti sempre alle corse dei cavalli, ruba da una borsetta. Pizzicato subito (taaac) ma rilasciato per assenza di prove, trova la sua strada. Che però è sbagliata. Finisce a fare squadra di borseggio con un altro paio di tipi da par suo, che gli insegnano i trucchi del mestiere e realizzano insieme colpi quasi artistici per destrezza e rischio con cui i portafogli passano da pieni a vuoti, a volte perfino li rinfilano nelle tasche svuotati. Intanto non ascolta un amico, Jacques, e la vecchia madre. Ad accudire la vecchia madre, e a fargli compagnia al della ormai defunta madre funerale, c’è Jeanne. Potrà Jeanne ridonare senso all’esistenza di Michel? Malinconia e vuoto, un personaggio, quello di Michel, sperduto e privo di direzione oltre alla sussistenza, come di prospettiva tanto quanto ingegnoso e abile è diventato nel “mestiere”. I giochi di mano, al limite della prestidirigiribirimizzazione, sostengono e inquadrano il ritmo della storia, mazzette di denaro che appaiono e scompaiono, scorrono sotto le maniche o vengono celate sotto una rivista e poi passate di mano in mano dai coomponenti della banda. Inoltre è scandita la storia dalla penna, la mano, di lui che scrive e racconta, sotto forma di una specie di diario, la storia, svestita e squallida come la sua stanzetta, o misera, come si sente e come peut-etre sia l’esistenza. Jeanne è elemento di disordine, nonostante il, o grazie al, suo atteggiamento timido e dimesso, che introduce il dubbio che un altro tipo di vita sia possibile. Persino qui, in questa società. Verrà quasi acciuffato, scapperà, passerà un paio d’anni all’estero (sai com’è, qui c’èccrisi) tra donne, gioco e alcohohohohohol. Quando torna, e tenta la redenzione, ci ricasca subito; viene giustamente (sor)preso per aver, sempre alle corse, scelto il pollo sbagliato.
Dietro le sbarre a scacchiera, non gli daresti più due lire – I mean, franchi; invece epifania, che rende la parabola del film assai cristiana in un certo senso, e a lei che lo va a trovare e sul quaderno conclude “Oh, Jeanne, pour aller jusqu’à toi, quel drôle de chemin il m’a fallu prendre”, ed è enorme come dichiarazione e vira tutto, violentemente e nei tre secondi finali, alla storia di amore.

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