Recensione su Perfect Sense

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“Life goes on” / 24 Luglio 2013 in Perfect Sense

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Di solito quando si pensa ad un film apocalittico, viene da pensare ad ad un mega-blockbuster ricco di effetti speciali, azioni, battaglie con gli alieni, macchine e palazzi in fiamme ed ovviamente gli Stati uniti che salvano il pianeta. Ecco, dimenticatevi di tutto ciò. “The perfect sense” è un film apocalittico, fantascientifico, ma è ben altro. Molto di più. Si tratta di una raffinatissima riflessione sull’amore e la condizione umana, fatta con un budget ridotto, regia minimalista, dialoghi essenziali, poche parole ma incisive.

Come in Melancholia di Lars Von Trier, l’elemento fantascientifico è soltanto un pretesto, sfruttato dal regista con uno scopo ben preciso: parlare di amore, in un modo insolito, mai tentato prima. E’ innanzitutto, infatti, un film romantico, ricco di intimismo, che si da l’obiettivo di scrutare l’animo umano, analizzarlo nelle sue più recondite particolarità, sezionarlo in modo quasi scientifico, metterne a luce le contraddizioni, (ma anche le infinite possibilità di quella che è una macchina sensazionale, il nostro corpo, la nostra mente).

La trama di questa pellicola, semisconosciuta in Italia, dove non è nemmeno arrivata nelle sale, è semplice: il mondo è invaso da una strana epidemia (priva di fondamenti scientifici), che non si riesce bene ad identificare. Il sintomo iniziale è una profonda tristezza che colpisce indiscriminatamente ogni individuo di qualsiasi classe sociale, a cui fa seguito la perdita completa dell’olfatto. E con esso se ne vanno anche tutti i ricordi collegati a questo senso (l’olfatto, infatti, è strettamente collegato alla memoria, viste le importanti connessioni tra la corteccia olfattiva ed il sistema limbico), ma non fa niente…”Life goes on”: chi non è preda del panico, cerca di andare avanti. Si cerca di valorizzare gli altri sensi… Segue la perdita del gusto, dopo un’iniziale improvviso attacco di fame. Anche a questo giro “Life goes on”… senza olfatto e senza gusto, ormai si va nei ristoranti soltanto per sentire il tintinnio delle posate, il piacevole fruscio del vino versato dentro il bicchiere di cristallo… Chi se ne importa se ormai niente ha più sapore e mangiare farina o caviale non fa più differenza. Il cibo lo si gusta con il tatto, in base alla consistenza, alla sua temperatura…
E’ facilmente intuibile che tutto ciò altro non è che una metafora. Non bisogna perciò cercare la razionalità della trama (assurda ed irrealistica), ma vivere il film a mente libera come un esperienza sensoriale. Ben presto ci si rende conto che tutti sensi, prima o poi se ne andranno. L’esito finale dell’epidemia appare ineluttabile, intuiamo la paura, riflettiamo su ciò che abbiamo e che diamo per scontato, ne avvertiamo la grandezza.
I protagonisti del film, interpretati da un bravissimo Ewan McGregor e da una sontuosa Eva Green (con un feeling eccezionale tra i due), sono rispettivamente un affermato chef di Glasgow ed una epidemiologa che sta studiando la malattia. Entrambi con un bel bagaglio di fantasmi dentro l’animo, pensieri nascosti, paura di amare. La storia d’amore si sviluppa in questo scenario oscuro, apocalittico. Mentre si consuma la tragedia mondiale, senza via di scampo, anche il loro rapporto viene sezionato dal regista, attento ad ogni dettaglio. C’è una elevata dose di introspezione psicologica, che fugge dagli stereotipi e dalla banalità di tante commedie romantiche attuali. Tra di loro non si chiamano amore, si chiamano “asshole”, sono due bastardi, ognuno con la sua dose di egoismo e cattiveria, come tutti gli uomini, ma si amano e l’amore è l’unica cosa che veramente ha importanza.
Di cosa possiamo veramente fare a meno? Cosa è indispensabile? Queste sono le domande che si pone il film…
Quando se ne va anche l’udito, ecco la grandissima bravura di MacKenzie che è capace di renderci tutti sordi. Anche noi, dentro il nostro animo urliamo silenziosamente come i protagonisti del film, senza sentire nessun suono emesso… Horror puramente psicologico anche qui.

Il tutto è narrato con toni cupi, scenari in cui predominano il grigio, il bianco ed il nero. Ma che bella fotografia!! L’ambientazione è desolante, ma le musiche, le immagini, riescono a farti apprezzare la bellezza intrinseca nell’esistenza umana, in mezzo alla disperazione. C’è tanta tristezza, è vero, ma anche moltissima dolcezza. In alcune sequenze si raggiungono vertici di lirismo poetico. Alcune magari potevano essere evitate, ma è soltanto un piccolo difetto. Tutto sommato si alternano immagini di follia, panico, violenza, alle scene in camera da letto, molto intime, dove non c’è spazio che per l’amore, con i suoi difetti, le sue contraddizioni. Bellissima la voce fuori campo femminile (stranamente…) della protagonista.

L’ ho avvertito come un immenso inno alla vita, ai sentimenti che nessuna epidemia può cancellare.
Il finale, è pura poesia, prima del buio totale.
Non è perfetto, la sceneggiatura non è certo impeccabile e sicuramente non è un film per tutti, ma è senza dubbio un’opera che ti lascia dentro qualcosa di grande. Merita eccome! Pienamente convincente!

sarebbe un 7 1/2… ma non c’è, quindi forse è più un 8. 🙂

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