Recensione su Paterson

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Elogio della semplicità / 2 Gennaio 2017 in Paterson

Jarmusch affronta un paio di temi precisi: la bellezza delle piccole cose e la complementarietà delle diversità.

Attraverso la sua apparente immobilità narrativa, Paterson dimostra che anche una vita apparentemente priva di particolari sobbalzi sa essere interessante e densa di eventi.
Su scala macroscopica, le riflessioni del protagonista sono: “A quale creazione si sarà dedicata, stamane, quella forsennata della mia amata? Lo scoprirò una volta tornato a casa. Chi incontrerò stasera al bar? Lo scoprirò quando mi siederò al bancone. Chi salirà sul mio bus, oggi? Lo scoprirò quando mi metterò al lavoro”.
Su scala microscopica: “Questa scatola di fiammiferi racchiude un segreto. Cosa vuole raccontarmi quella cascata? Chissà come e perché questa cassetta della posta si inclina così ogni giorno…”.

A rafforzare la potenza insita nelle piccole scoperte quotidiane, Jarmusch usa tre elementi: la curiosità, la riflessione, il sogno.
Al primo, corrispondono lo sguardo e l’ascolto silenzioso dell’autista Paterson (un efficace e misuratissimo Adam Driver), la ricerca di notizie particolari sulla cittadina da parte del barista Doc (Barry Shabaka Henley), le “esplosioni artistiche” di Laura (la bella Golshifteh Farahani, già vista nell’iraniano About Elly).
Al secondo, l’analisi e l’atteggiamento introspettivo di Paterson, che interiorizza gli effetti del contesto, astraendoli e trasformandoli in poesia.
Al terzo, l’attività onirica di Laura, che trova magicamente forma nella realtà, stupendo Paterson come un bambino, rendendola ai suoi occhi una sorta di fata, incrementando l’amore e l’interesse nei suoi confronti (Paterson non le rivela mai di aver visto segni dei suoi sogni, come se temesse di infrangere un tabù, una malìa).
La sonnacchiosa cittadina di Paterson, apparentemente priva di particolari attrattive e, al contrario, ricca di aneddoti e abitata da personalità rilevanti in ambito storico e culturale, è specchio e contraltare di Paterson l’autista: entrambi celano a uno sguardo frettoloso e distratto profondità e delicatezze quasi insondabili.

Curiosità: l’Italia sembra onnipresente nei pensieri di Jarmusch, perché in questo film viene citata continuamente. A proposito: i ragazzi che, sul bus, parlano dell’anarchico Gaetano Bresci sono Jared Gilman e Kara Hayward, Sam e Suzy di Moonrise Kingdom di Wes Anderson. Viene da sorridere, pensando (in maniera pindarica) che, dopo la loro fuga d’amore, i due ragazzini siano diventati appassionati filoanarchici: mi piace questo suggerimento di Jarmusch, questa strana (forzosa, se vogliamo) continuità tra i due film.

1 commento

  1. henricho / 30 Aprile 2017

    Non sapevo che i due ragazzi fossero i protagonisti di Moonrise Kingdom ed è curioso perché prima di vederlo pensavo che il regista fosse proprio Wes Anderson..

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