26 Marzo 2015 in Oscar Nominated Short Films 2015: Documentary

Fortunatamente ho visto questi cinque corti in tre giorni invece che in una sola seduta. Guardarli uno dietro l’altro non so se ne smorzi un po’ l’efficacia complessiva o, peggio, se sia una tale batosta emotiva da non uscirne vivi. In tre giorni invece ho avuto il tempo di respirare e tentare di rialzarmi sulle mie gambe.

Quattro di questi film parlano di morte, uno parla di petrolio. Giusto per avvisare i deboli di cuore.

I due doc polacchi, Joanna e Our Curse sono due sguardi intimi all’interno di due giovani famiglie già condannate da una malattia mortale. Joanna è moglie e madre di un bambino molto sveglio e ricettivo, e è malata di leucemia o qualcosa del genere (non ho capito bene, chiedo scusa). Durante la sua malattia ha tenuto un blog (ancora visitabile: http://chustka.blogspot.it/) e si è lasciata filmare da Aneta Kopacz; Our Curse è, se ha un senso fare paragoni, ancora più straziante: il figlio neonato del regista e della sua compagna ha la rarissima malattia di Ondine, un disturbo della respirazione che lo minaccia di morte a ogni sonno. Questo è uno di quei film che ha *quella scena*, il momento shock di cui tutti (i pochissimi che l’hanno visto) parlano. Io non ne posso parlare perché mi sono coperto gli occhi e ho spento le cuffie per tutto il tempo.
Ancora di morte, stavolta animale, parla La parka (“The Reaper”), il film messicano su un operaio in un mattatoio che narra fuori schermo la sua vita di miseria mentre sullo schermo mucche vengono macellate riprese in dettaglio ravvicinato. Della serie “Per diventare vegetariani”.
White Earth fa il paio con un documentario lungo di quest’anno che non ha ottenuto la nomination ma c’era quasi riuscito, The Overnighters. Entrambi parlano del boom petrolifero del North Dakota, che attira da tutta l’America e anche da più a sud operai speranzosi di fare miliardi ma ignari degli altissimi costi degli affitti, per cui si ritrovano a vivere accampati e visti di cattivissimo occhio dagli abitanti locali. Nel corto il fenomeno è visto in particolare con gli occhi dei bambini figli dei migranti.

Il mio vincitore (e azzardo anche il pronostico) è Crisis Hotline: Veterans Press 1, uno sguardo ai consulenti dell’unico centro americano di assistenza telefonica ai veterani affetti da stress post-traumatico e sull’orlo del suicidio (in U.S. si ammazza un veterano ogni ora, più di quanti ne muoiano in missione). Seguiamo consecutivamente quattro-cinque telefonate in diretta, senza mai ascoltare il chiamante ma solo i responders del centro. Groppo in gola dall’inizio alla fine.

Tutti documentari dalle immagini splendide e ispirate ma narrativamente confusionari, adagiati sulla immediatezza retorica già dell’idea generatrice.

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