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Solo Dio perdona

/ 20136.2215 voti

Mah…. / 21 Gennaio 2022 in Solo Dio perdona

Lodato come gran film, mi sono fatto ingannare da “Drive” dello stesso regista, e avevo grandi aspettative da questo!
Ma ahimé è stato davvero una noia, di una lentezza unica: sembra un esercizio di stile tra riprese, montaggio, fotografia, scenografia e tecniche di regia ma manca di una forte base, la storia è debole e ha troppa carne sul fuoco….
Peccato, poteva essere molto più interessante.
Gosling in “Drive” è stato davvero bravo, ma non è che quel tipo di recitazione, quell’indifferenza e quel distacco, funziona in tutti i film.
4/10.

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Rimorso e Redenzione / 7 Marzo 2020 in Solo Dio perdona

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Dopo il successo di critica e botteghino con Drive(16mln il budget, 80 mln l’incasso), Nicolas Winding Refn, fa ritorno con un film molto particolare e molto poco amato (forse il meno amato) : Only God Forgives.
Grazie alla scelta di farsi abbassare dalla produzione il budget a 4,8mln, Refn, riesce ad ottenere il consenso per avere completa libertà espressiva sul film.
Se Drive era un film più “mainstream” perche ne conservava determinati stilemi, come ad esempio la storia d’amore, le corse automobilistiche, una sceneggiatura molto più presente, un ritmo comunque più serrato e, diciamocelo, una più facile comprensione, Only God Forgives è una creatura completamente figlia della mente di NWR. Un montaggio perfetto. Il film parla per inquadrature(non a caso Refn crede che il montatore sia la figura più importante perché quando tutti vanno a casa lui rimane, c’è sia in pre che in post produzione), la sceneggiatura è ridotta all’osso. Possiamo dire a tutti gli effetti che sia un film d’autore.
La prima cosa che non si può fare a meno di non notare è che il film è rosso, non comunista è, rosso nel vero senso della parola. La splendida fotografia al neon presenta le tonalità più disparate di rosso, dal meno chiaro al più acceso.
Altro dettaglio impossibile da non notare sono le inquadrature in dettaglio sulle mani. Simbolo importantissimo(non so se nella cultura orientale o nell’immaginario di Refn),evidenziate come mezzo con il quale l’uomo compie azioni, nel bene e nel male. Non a caso Chang conservando una specie di moralità, se cosi si può chiamare, non uccide il padre della bambina uccisa da Billy, bensì gli taglia una mano. Chiaro atto di punizione e simbolo di separazione da un qualcosa che rende in grado di agire(in questo caso far prostituire la figlia) e di cui l’uomo in questione non è degno(mia personalissima chiave di lettura). Allo stesso modo Julian taglia il ventre di sua madre Crystal e ci infila dentro la mano, per sentirsi finalmente, per un momento, parte di lei, simbolo in questo caso (sempre secondo me) di ricongiungimento.
Emblematico e chiarificatore del rapporto malato, a tratti incestuoso, con entrambi i figli, il dialogo tra Julian e Krystal quando lei sentendo la giustificazione per la vendetta incompiuta, giustifica lo stupro e l’omicidio perpetrato da Billy con un laconico “avrà avuto le sue ragioni”, perché Billy è il primogenito e perché “ha il ca**o enorme”.
La repressione di Julian, interpretato ottimamente da un Ryan Gosling che ha avuto carta bianca, è palpabile. Reagisce passivamente alle angherie della madre e si sfoga violentemente (verbalmente) con la ragazza che gli chiede perché si fa trattare in quel modo e (fisicamente) con un poveraccio che si becca una bicchierata in faccia solo per aver riso,un atteggiamento che personalmente mi fa tornare alla mente Berry Egan(Adam Sandler) in Punch-Drunk Love di Paul Thomas Anderson.
La peculiarità di quasi tutti i personaggi scritti da Refn non si sa bene da dove vengano e non si capisce (quasi) mai che fine facciano. Si guardi la trilogia di Pusher, Drive e anche the Neon Demon. Solo che in questo caso è “l’antagonista”(se cosi si può chiamare) che non si sa bene da dove arrivi, sappiamo solo che tutti i poliziotti lo rispettano e viene quindi chiamato per fare giustizia, forse perché in qualche modo, anche loro, simpatizzanti di quel tipo di legge fai da te, esercitando in maniera arbitraria le proprie ragioni. Chang(Interpretato egregiamente dall’attore/non attore Vithaya Pansringarm con una monoespressività da brividi) dona un tocco fantasy e fumettistico al film, non sembra proprio un umano bensì un essere soprannaturale, un angelo della morte in grado di leggere le persone con uno sguardo e capire se siano innocenti o no, è inamovibile, non si fa abbindolare dalle parole, ma anzi, chi cerca di giustificarsi puntando il dito contro terzi, e non facendo mea culpa, viene punito più severamente.
Parlo di connotazioni fumettistiche perché a differenza dei Pusher(soprattutto nel terzo) e in Drive, le scene violente sono meno realistiche e ricordano molto lo stile dei fumetti: *inquadratura dell’arma* poi *inquadratura del braccio* poi *inquadratura del sangue che schizza* e infine *inquadratura della ferita*. In un fumetto non vedremmo mai una visione d’insieme della scena appena descritta. Molto interessate anche la scelta dell’arma (non so se sia una katana o un Wakizashi o altro) non lavorata, ancora grezza, molto artigianale e esteticamente più brutale e animalesca.
Non so bene per quale motivo ma questo film ha qualcosa di magnetico, ogni tanto c’è qualcosa che mi spinge a rivederlo. Personalmente non ho adorato il finale con Chang che canta, anzi l’ho trovata una scelta registica abbastanza discutibile, avrei terminato con l’amputazione delle mani di Julian nel bosco(in fuori campo), l’avrei trovato più poetico.

PS: comunque nessuno mi toglie dalla testa che Gosling si fa tagliare volontariamente le mani perché le sente ancora sporche di sangue per l’omicidio del padre più che per il fatto di essere entrato a casa di Chang(spiegato nel film nella scena dove esce il sangue dal lavandino) e quindi reputa l’amputazione una giusta punizione.

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Mah… / 19 Febbraio 2016 in Solo Dio perdona

Realizzato in modo ineccepibile per quanto concerne il comparto tecnico, Solo Dio Perdona risulta però essere una grossa delusione. Uno svolgimento lento, intricato, infarcito di elementi spesso e volentieri incomprensibili rovinano il tutto. Peccato davvero, perché Drive, il lavoro precedente di Refn con Gosling, era veramente ben fatto e coinvolgente.
Questo film sinceramente non lo è proprio. Bella realizzazione, ma da sé non basta.

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Che delusione ! / 17 Novembre 2014 in Solo Dio perdona

Dopo aver visto driver mi aspettavo un bel film invece … non mi convince niente !

3 Maggio 2014 in Solo Dio perdona

E’ più un 8 tendente al 9 il mio, comunque…
Sembra di stare dentro un’insegna luminosa, ma il gioco di luci colorate che contrastano tra loro (tipo il blu e il rosso) crea effetti interessanti e di conseguenza l’atmosfera ha un nonsoché di surreale, che riesce a metterti ansia. Di sicuro uno spettacolo per gli occhi e anche la storia in sè, il suo svolgimento riesce a catturare l’attenzione.

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Stile, vendetta, redenzione / 11 Aprile 2014 in Solo Dio perdona

Seconda pellicola consecutiva dell’accoppiata Refn-Gosling. Dopo il grande successo ottenuto con Drive, Refn cambia quasi totalmente marcia e genera un’elaborata storia di vendetta principalmente votata alla cura estetica.
Tralasciando i commenti detti e ridetti sulla regia maniacale, sui piani sequenza, sulla scelta cromatica tendente al rosso (che non è una vera e propria novità, visto che l’autore ne aveva fatto abbondante uso già in altri lavori come Pusher II o Valhalla Rising), una piccola analisi la merita a mio avviso la storia.
Premessa: dai suoi film si capisce che Refn ama molto il tema della redenzione. Le sue pellicole narrano tutte, chi più chi meno, di parabole di criminali che chiedono una specie di seconda chance o meglio ancora, che arrivano a costruirsela con le loro mani. Tutti i suoi personaggi, a modo loro sembrano gridare “Io voglio essere perdonato per tutto il male che ho fatto”.
Solo Dio Perdona si distanzia molto dalla filmografia complessiva del regista danese. Qui la redenzione è pressoché assente. Il protagonista non è un eroe (non è una novità) ma stavolta non è nemmeno un antieroe. Non prende in mano la situazione (non vuole farlo fondamentalmente). Egli non ha il desiderio della risoluzione della vicenda avendo dalla sua parte l’ultima parola, perché in fondo sa che non la merita. Ma è costretto a farlo, perché non fare nulla sarebbe peggio. E’ obbligato ad innescare moti che lo porteranno ad uno stato di angoscia e sofferenza. Il volto perennemente malinconico di Gosling, in questo caso, si presta perfettamente ad una figura triste quanto impotente. Al suo fianco, una brava Kristin Scott Thomas nel ruolo della madre autoritaria, carica di rancore e mentalmente poco stabile, rendono la pellicola di Refn un qualcosa di simile ad una tragedia shakespeariana.
Solo Dio Perdona è quindi più di un titolo. E’ la triste morale secondo cui una forza superiore è l’unica cosa davvero in grado di rispondere a quel grido disperato dei personaggi del regista danese.

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Bene ma non benissimo / 6 Ottobre 2013 in Solo Dio perdona

Lo trovo un film piacevole e ottimamente curato, ma che lascia molti punti in sospeso. Risalta in maniera impressionante l’estetica della violenza, di una bellezza effimera ed allo stesso tempo cupa e volgare, ossimori che affascinano lo spettatore e lo immergono in un mondo affascinante tanto quanto macabro, ma la storia regge poco, i personaggi potevano essere acquarellati meglio, così come la tematica della vendetta (che io, tra parentesi, adoro, e che secondo me ben sviluppata avrebbe potuto fare del film un capolavoro quasi ai livelli di Oldboy data la comune attenzione alla fotografia).
Infine Gosling mi piace un sacco, ma non riesco a capire se è tenebrosamente enigmatico o semplicemente monoespressivo.

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26 Settembre 2013 in Solo Dio perdona

Il punto di partenza per valutare questo film è Drive, che aveva messo in risalto regista ed attore portandoli all’attenzione del pubblico ed è diventato un cult nel suo genere. Il problema di Solo Dio perdona è che non si discosta molto dal precedente film e finisce solo per ripoporre a Ryan Goosling un ruolo che ultimamente sta interpretando molto di frequente (oltre a Drive, Come un Tuono e Love & secrets) e a Nicolas Winding Refn fornisce l’occasione per autocelebrare la sua maniacale ossessione per l’inquadratura perfetta e minimalista. La regia di Refn è obiettivamente intrigante, la sua scelta di marcare la fotografia con colorazioni che descrivono Bangkok nel suo essere notturna e trasgressiva (alberghi e privè hanno un colorazione tendenzialmente rossa, mentre la palestra è spesso ritratta con toni freddi, come il blu) è indice del sua maniacale ossessione per l’immagine. I suoi film sembrano hanno tutti questo punto in comune (si veda anche Valhalla Rising) ma, mentre in Drive la storia aveva ancora un ruolo importante, qui passa in secondo piano. Molte allusioni ma poco approfondimento. L’idea è che si voglia replicare Drive in chiave orientale. Suoni ed immagini sono il campo di gioco di Refn ma l’estetismo smisurato a volte sembra scadere nel pubblicitario. I momenti indimenticabili di Drive qui non rimangono nella mente di chi guarda.
Interessante l’ossessione di Julian per le mani e la catarsi che il suo personaggio affronta ma le sue motivazioni sono solo abbozzate e poco approfondite.
Anche il personaggio del poliziotto sembra a tratti poco spesso, molto stereotipato.
Questa è un pò una pecca perchè il confronto tra i due meritava più sapzio.
Splendida, invece, Kristin Scott-Thomas, finalmente in un ruolo che le rende giustizia.

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31 Agosto 2013 in Solo Dio perdona

Finalmente, finalmente. Dopo la folgorazione Drive l’attesa per OGF era altissima e mi ritengo ampiamente ripagata.
Nicolas Winding Refn è un genio scapestrato, dal gusto impeccabile e dagli stilemi distintivi, rischiosi e totalmente amabili o odiabili.
Io lo amo e l’ho amato anche qui. Storia non nuova, ma raccontata magnificamente. Un percorso di redenzione centellinato, e mostrato attraverso scene surreali ed evocative e gli sguardi del solito grande Gosling, che qui più che in Drive comunica solo con gli occhi, le spalle, le camminate e le mani mostrando una gamma variegata di espressioni e gesti. Ma non è lui il protagonista ma piuttosto lo è la punizione, operante in un circolo infinito che si conclude sempre e solo con la sconfitta anti-stereotipo del personaggio di Julian. Sconfitta fisica, mentale e relazionale. E qui spunta fuori la bravissima Kristin Scott Thomas, madre-oggetto d’amore, all’interno di un rapporto conturbante e violento, risolto definitivamente con una scena che mi lascia il dubbio tra la riconciliazione e il distacco totale e agognato.
Splendidamente girato e fotografo, da incorniciare fotogramma per fotogramma, riesce a illuminare il buio di Bangkok con neon brillanti e mai frivoli ma semmai freddi come lo sguardo di Julian; sguardo ad un tempo glaciale ad un tempo desideroso e caldo, magari contornato da quel rosso che ricorre per tutto il film.
Il solito Martinez compone una OST non preponderante ma integrata al film e alle atmosfere perfettamente, con alcune chicche che sono funzionali alla caratterizzazione dei personaggi ( le canzoni cantate da Chang aprono uno squarcio, insieme ad un unico momento familiare, su un altro aspetto della psicologia di un personaggio quasi mistico) e a sostenere scene bellissime ( dal “wanna fight” in poi, gli M83 al club, il brano che accompagna gli esercizi con la sciabola di Chang).
Film rabbioso, viscerale, intenso e sicuramente bellissimo e sempre di classe, anche nelle sue scene più truci.

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6 Giugno 2013 in Solo Dio perdona

C’è da essere indecisi se inca**arsi o meno di fronte a quest’ultimo Refn, un “vorrei, ma non posso”, sicuramente orientato a sottotesti da Cinema d’autore, ma completamente smarrito in una trama di genere. Alla fine il “Lynch che incontra Van Damme” diverte e ammallia visivamente il giusto.

let’s flame begin. / 6 Giugno 2013 in Solo Dio perdona

Solo Dio perdona.

Only God forgives.

Con questo film Refn tocca il cielo con un dito.
Aspettavo con ansia l’uscita del titolo, è il più bel film del 2012, con un Goslin bellissimo, bravo a fare a pugni, sicuro il miglior film fatto da quando l’uomo ha inventato la cinepresa. Ah ca**o, deve averlo partorito Cristo.

Avrei proprio voluto che le cose andassero così, ma così non è stato. Ora che ho catturato la vostra attenzione parte la recensione vera.
Aspettavo con ansia Solo Dio perdona, non lo nego, bramavo per la visione della pellicola. Refn, si sa, è un tipo che alla regia ci sa fare.
Porco mondo se ci sa fare, tanto che alcune sequenze (si passa da scene apparentemente calme a veloci in un battito di ciglia), delle inquadrature, delle scene che sono a metà fra sogno e realtà. Bello il gioco luci-ombre, i silenzi e l’amplificazione dei passi, i piani sequeza, bello, bello tutto, veramente eh ma… alla fine ? La pellicola è ambientato a Bangkok. In una scena vediamo dei grattacieli, ingannevolmente meravigliosi, essi danno l’allettante illusione della perfezione.
L’allettante illusione della perfezione è questo che si prova durante la visione della pellicola. Scavando nel profondo infatti, il film, l’ho trovato volutamente pretenzioso. Cosa davvero voleva fare Refn ? Sicuro tirare le somme dei lavori fatti.
La domanda viene da sé, c’è riuscito ? Badate, il film non l’ho trovato brutto, si lascia guardare e come dicevo stilisticamente è impeccabile, brillante. Stringendo però, lo ripeto, secondo me è solo ed unicamente apparenza.
I protagonisti sono Ryan Goslin, il quale interpreta Julian, il proprietario di una palestra di Muay thai. In realtà, il nostro sta alla Muay Thai come Adolf Hitler alla pace nel mondo.
Questa è un’attività di copertura gestita assieme al fratello attivista nel campo del turismo sessuale oltre a quello dello spaccio in modo scientifico di droghe quali cocaina ed eroina. Ci immergiamo nel mondo della micro-criminalità, della prostituzione giovanile e minorile, della giustizia fai da te. Il fratello di Julian ha la brillante idea di uccidere una ragazza minorenne. Un ex-poliziotto, un Punitore orientale, una pseudo divinità che tutto e tutti giudica è coinvolto nell’omicidio del fratello di Julian. Contemporaneamente arriva in Thailandia la madre dei due occidentali, ella chiede vendetta. Non capendo, forse facendo finta, che il fratello se l’è cercata. Il personaggio della madre, dopo quello di Chang, è quello che più mi è rimasto.
La biondona infatti è marcia, sia dentro che fuori, tanto da non stupirci se i figli hanno preso quella strada. Tutta la pellicola è un rincorrersi fra gatto e topo, una serie di torture, scene violente e una in particolare quella dove il Punitore Chang infila un coltello nell’orecchio di uno sgherro e improvvisamente si sente solo fischi
e parole mute. Uno dei due schieramenti capirà che il nemico da affrontare è inarrestabile, si è di fronte al Cavaliere Nero e al Cavaliere Nero tu non gli vai a rompere le uova nel paniere…

DonMax

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Tutte le famiglie felici si somigliano… / 5 Giugno 2013 in Solo Dio perdona

…ogni famiglia infelice è invece disgraziata a modo suo!
Premetto che non è stata una libera scelta la visione di questo film, non mi ispirava particolarmente ma per una volta sono contenta di aver perso una scommessa!
Allora il film è ambientato in una Bangkok by night fatta di lottattori, prostitute e spacciatori da una parte e piliziotti giustizieri dall’altra, la storia è quella di una vendetta.
Regia particolare con grandi piani sequenze quasi estenuanti e una colonna sonora disturbante degna di un film horror sperimentale, personaggi che parlano poco e agiscono molto forse c’è stato un po’ troppo sangue ma gli orientali ci insegnano che quando c’è di mezzo una vendetta il sangue non è mai troppo; dopotutto solo dio perdona!

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3 Giugno 2013 in Solo Dio perdona

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Refn, qui, si compiace oltre ogni dire e porta all’estremo la sua passione per gli estetismi patinati e per le inquadrature statiche e geometriche, modulari, puntualmente tripartite, equilibratissime, ed arditamente collocabili a metà strada tra le composizioni pittoriche di Mondrian, i trittici delle pale d’altare medievali, la bidimensionalità architettonica giapponese basata, orizzontalmente, sull’uso del tatami e, verticalmente, su quello degli shoji.

Al di là di questa cornice fredda e calcolata, una sequenza di tableaux vivents in cui gli attori si muovono in maniera spaventosamente misurata, tra dettagli pesantemente kitsch ed una fotografia che ricorda gli esotismi di Mc Curry, la storia raccontata è fortemente emotiva, estremamente violenta e sottende implicazioni morali la cui logica sfugge pienamente al comune sentire.

Ho trovato quantomai interessante il significato attribuito alle mani di alcuni personaggi e penso che l’attenzione ad esse dedicata esplichi alcuni passaggi narrativi altrimenti taciuti.
E’ evidente, per esempio, che Julian non sia in grado di avere un rapporto sessuale “canonico” con una donna: le sue fantasie si esplicano solo attraverso le mani, sue o della donna con cui vorrebbe compiere un atto sessuale, ed è inserendo una mano nelle viscere della madre morta che compie effettivamente un incesto.
Come spiega Jenna (una medeica Kristin Scott Thomas), egli ha ucciso a mani nude il proprio padre, ma con quelle stesse, totemiche mani non è stato in grado né di vendicare la morte del fratello, né di difendere la madre dalla giustizia dal sapore quasi divino del poliziotto.
Il taglio degli avambracci lordi di sangue di Julian, quindi, è simbolo di resa, punizione, martirio e definitiva castrazione.

Nel complesso, interessante, ma non epifanico.

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