20 Recensioni su

C’era una volta a... Hollywood

/ 20197.3467 voti

Non delude mai… / 24 Giugno 2021 in C’era una volta a... Hollywood

Quentin Tarantino per me una garanzia. 9° film del regista e come sempre non mi delude mai.
Questa volta rivisita una storia realmente accaduta con il suo stile e con un finale tarantiniano al 100%.
In questo suo ultimo lavoro il regista, secondo il mio illustre parere, riesce a tirare fuori il meglio a Brad Pitt. Una interpretazione eccezionale. L’ho sempre apprezzato ma in questo lavoro si è superato.
La trama: Rick Dalton (Leonardo Di Caprio), attore di una popolare serie televisiva, sta vivendo la sua fase di declino e vuole a tutti i costi abbandonare le serie per lanciarsi verso il mondo del cinema. Insieme a lui c’è sempre il fedelissimo e amico Cliff Booth (Brad Pitt), suo personale stuntman/controfigura ma anche autista da quando, causa alcool, gli è stata sospesa la patente. Rick viene a sapere poi che nella casa a fianco alla sua si è appena trasferita la giovane coppia del regista Roman Polański e sua moglie, l’attrice Sharon Tate (Margot Robbie). Cercherà in diversi modi di entrare nelle sue grazie per realizzare dei film con lui.
Il resto è da vedere.
Tarantino con questo suo ultimo lavoro termina la trilogia storica dopo Bastardi senza Gloria e il bellissimo Django Unchained.
Ultra premiato con Oscar, Golden Globes e tanti altri premi.
Coinvolgente, divertente e tarantiniano!
Cosa vuoi di più.
Buona visione!
Ad maiora!
#filmaximo

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Quanto cinema per un solo film. / 7 Maggio 2020 in C’era una volta a... Hollywood

Un film sullo sguardo, sull’apoteosi del desiderio filmico, sulla fibrillazione incostante ma volitiva della passione artistica, in un momento storico e culturale di frenetico mutamento come il 1969. Anno cardine non solo per il buon Quentin, checché se ne dica, ma per tutto un movimento cinematografico, antropologico, culturale e sociale che da desueto tornò ad essere vivo e vivace nell’immaginario collettivo. Cadono i vecchi archetipi, mentre nuove colonne emergeranno e si ergeranno nell’immenso luna park hollywoodiano. Qualcuno, come i due protagonisti, sembra cedere il passo, mostrare il fianco, arrancare, inciampare, raggomitolarsi ai margini dell’industria pur di continuare a respirare il sogno. Il 1969 di Tarantino è puro romanticismo, è musica (tanta), auto veloci, esagerazioni, è la favola nera della redenzione e dell’amicizia, della volontà e della cialtronaggine. Un lungo giro di boa su cui far leva per tramutare, anziché il sogno in chimera, la chimera in un sogno. Siamo su livelli altissimi di narrazione, di immagini, di volti, di corpi, di prove attoriali maiuscole e commoventi, non c’è trucco e non c’è inganno, e se anche ci fosse vogliamo a tutti i costi far finta di nulla, perché c’è solo questa Hollywood trasognata, nel gargantuesco calderone di puro stupore.

Brad Pitt nel ruolo di Cliff Booth fa irruzione sulla scena come uno dei personaggi più forti e imperturbabili dell’epopea tarantiniana e non solo, diciamo pure del cinema tutto. Il ruolo della vita per un attore troppo poco considerato come tale. Impossibile togliergli gli occhi di dosso, sia per gli uomini che per le donne, lo stile non ha sesso, qui. DiCaprio dipinge con superba grandezza l’estenuante afflizione di un attore sul viale del tramonto, consapevole di esserlo, ma impossibilitato ad accettarlo, imprigionato com’è in un lungo tunnel dove l’unica, fievole luce in grado di intravedersi è quella di un imbrunire sempre più incombente. E che dire della splendida Margot Robbie nei panni di Sharon Tate, colei che ha poche battute durante il film, ma che parla con uno sguardo. Presenza celestiale ed eterea, figura gioviale che non ha bisogno di parlare per esprimere il perenne stato di giubilo in cui si trova; e l’apoteosi più bella è proprio nel momento in cui va a spulciarsi al cinema, in quell’immensa sala buia dove l’unica cosa a rispendere sono i suoi occhi emozionati, mentre guarda se stessa riflessa sul grande schermo. Ma davvero siamo qui a fare le pulci a queste cose qui?! Un po’ di decoro, orsù.

“Once Upon a Time in Hollywood” è quel film che (ci) mancava, una stella cadente, un fulmine a ciel sereno, gioia e piacere, un’opera così enorme capace di creare un bagliore talmente grosso da stordirci e incasinarci i movimenti motori. Un po’ come quando Cliff decide finalmente di fumarsi quella sigaretta intinta nell’acido… ecco, ci siamo arrivati. Quella sigaretta. Espediente curioso, quasi poco annoverato fra le trovate di un film già di per sé esagerato. E pure, mi ritorna in mente Robert De Niro che sul finale di un altro “C’era Una Volta”, quello in America, fuma il suo oppio e ci lascia con un dubbio logorante ma straordinario. Chissà che…be’, se così fosse, io, mi commuoverei ancor di più. Tanto quanto su quella scritta finale che ci fa capire quanto le favole siano ancora possibili.

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Che cafonata / 15 Aprile 2020 in C’era una volta a... Hollywood

Ho capito che si parla della vecchia Hollywood, ma una cosa così cafona mi sembra eccessiva. Comunque veramente mi piange il cuore per quello che sto per dire, da fan di Quentin Tarantino, ma non posso trattenermi, non ce la faccio: questo è il suo peggiore film.
Partiamo dal fatto che le prime due ore di film sono pressoché inutili, non che quell’altra ora dopo serva realmente a qualcosa. Un pippone epico pieno di macchiette e cliché per sfociare in una scena di “azione” che è una delle cafonate più atroci che abbiano mai visto i miei poveri occhi. L’unica cosa decente del film, probabilmente è la fine, tutto il resto per me non ha proprio senso, la trama è completamente assente, mi sembra solo una lunga – morbosamente lunga – pretesa per parlare di una serie di cose che piacciono a lui, le vecchie star, il cinema western, il cinema italiano, attori leggendari buttati a caso (scene di cattivo gusto, battute anche).
Il film sembra diretto da un’altra persona, sembra che un tizio abbia deciso di imitare in malo modo lo stile cinematografico di Tarantino, scimmiottandolo. Caruccia l’estetica e i colori, che erano perfettamente azzeccati – peccato solo quelli. Non so quante inquadrature di piedi abbiamo dovuto subire, tra l’altro piedi sporchi e coi calli, segno che il feticismo di questo cristiano sta degenerando – e comunque davvero troppo ostentato.
L’ottima recitazione degli attori e la varietà del cast non compensa – e mi dispiace dirlo, perché ci sono veramente rimasta male, avevo evitato anche di leggere commenti e recensioni proprio perché non volevo assolutamente esaltarmi troppo o essere troppo scettica. La verità è che ha toppato, per me. No, non mi è piaciuto.
E niente, Once Upon a time… in Hollywood, un film di Peppe Fetish, scritto da Sam Nonsense.
Tre ore deludenti. Ovviamente non darei mai un voto più basso di sei a Tarantino, mai nella vita, però questo film mi ha lasciata proprio con l’amaro in bocca.

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O lo ami o lo odi. / 11 Aprile 2020 in C’era una volta a... Hollywood

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Non ci sono mezze misure, o ami il cinema di Quentin Tarantino o lo odi.
Io ovviamente lo amo, amo la sua estetica precisa e maniacale.
Pare scontato dire che il mio film preferito di Quentin sia Pulp Ficiton, lo so, ma trovo stupendo anche Jackie Brown che non è di sicuro famoso quanto lo sono appunto Pulp Fiction e Le Iene.
Finalmente ho visto il 9° film di Tarantino e… wow! Due ore e quaranta minuti volate.
La coppia di protagonisti è fantastica. Di Caprio si conferma un grandissimo attore, alcune sequenze sono fantastiche (ad esempio quella con la bambina oppure quando rientra nella roulotte e s’incazza perché non ricorda le battute). Ottimo anche Brad Pitt (ha vinto un Oscar, no?!), tutta la sequenza al Ranch con i seguaci di Charles Manson (che vediamo solo per pochissimi minuti verso l’inizio) è grandiosa, per non parlare del finale quando è sotto acido.
Continuo a non digerire Margot Robbie, non mi dice molto, la trovo abbastanza inespressiva.
Poi c’è tutto il contorno, anche piccoli cameo come Kurt Russell e Dakota Fanning. E Al Pacino?
Colonna sonora, beh, inutile menzionarla.
Ancora una volta il buon Quentin non si risparmia e ci regala un grandissimo film.
Chi scrive “senza senso” non ha ben capito probabilmente il personaggio di Rick Dalton.
Unico appunto, negativo: perché fare interpretare la moglie italiana di Dalton ad un’attrice cilena? Era così difficile trovarne una italiana all’altezza delle (pochissime) sequenze in cui è presente?

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C’era una volta Tarantino / 31 Marzo 2020 in C’era una volta a... Hollywood

Once Upon a Time in Hollywood, o C’era una volta a Hollywood, è l’ultimo film scritto e diretto dal celebre Quentin Tarantino. Se non ci fosse scritto non te ne accorgeresti nemmeno perché difatti, pur sembrando il suo film più personale, non c’è nulla che richiami quello che ormai è entrato nel linguaggio comune di “tarantiniano”, eccetto la scena finale che ho trovato il punto più basso del film e dell’intera carriera di Tarantino.
Onestamente non c’è niente che mi piaccia in questo film. Nonostante sia composto da un grande cast, la recitazione non stupisce. L’Oscar a Brad Pitt è uno dei più immeritati nella storia dell’Academy, vedere per credere.
Il film manca di originalità, è piatto, noioso oltremodo lungo per ciò che vuole narrare e nonostante la sua incredibile durata non si è riusciti a inserire il personaggio di Charles Manson per più di 10 secondi, nonostante il film vuole a modo suo narrare i fatti della Manson Family e la strage di Cielo Drive. Sharon Tate viene dipinta come un’ochetta svampita che ama scorrazzare per Hollywood e guardarsi sul grande schermo. Nulla di più. Non sembra avere una personalità che vada oltre per Tarantino.

Mi dispiace, ma se il film non fosse di Tarantino molte persone non l’avrebbero probabilmente nemmeno considerato. È un peccato perché ho amato tantissimo The Hateful Eight e lo considero uno dei suoi film migliori, quindi per me il declino di Tarantino è iniziato così, inaspettatamente con C’era una volta Hollywood, ma confido si tratti solo di un passo falso.

Voto: 6½ al quale però non me la sento di arrotondare a 7, perciò 6.

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Voto 5 / 21 Febbraio 2020 in C’era una volta a... Hollywood

Senza Senso…

Terribile… / 8 Gennaio 2020 in C’era una volta a... Hollywood

L’ho trovato terribilmente lungo lungo lungo all’inverosimile.
Cast stellare ma purtroppo per me noioso e la fine tremenda…..c’è una sorta di ironia nella parte conclusiva su un fatto realmente accaduto che ho trovato di cattivo gusto.
Due cose salvo. La scena di lotta di Bruce Lee che è stata carina e il pezzo con il mitico Luke Perry….mi mancherà proprio 🙁
Per il resto veramente da dimenticare. Peccato.
Gli avrei dato 4 e mezzo.

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Sixties Forever / 26 Dicembre 2019 in C’era una volta a... Hollywood

Dopo il mezzo passo falso di Hateful Eight, Tarantino torna a risplendere con questo film. Non siamo ai livelli magici di Le iene, Pulp Fiction o Kill Bill 1, ma Once Upon a Time mi è parso un film più maturo di Django e persino di Inglourious Basterds (che si becca qui una citazione forse autoironica), e più arioso e divertente di Jackie Brown.

Once Upon a Time è prima di tutto uno studio di due caratteri opposti: quello di Rick Dalton – Leonardo DiCaprio e quello di Cliff Booth – Brad Pitt. Rick è dedito all’autocommiserazione; ha scatti nervosi; balbetta; si esalta per il complimento di una ragazzina. È un uomo-bambino, un immaturo – ma non per questo un uomo cattivo, anzi. A Brad Pitt tocca invece – come nel quasi contemporaneo Ad Astra – incarnare un ideale virile d’altri tempi. Cliff non si fa distogliere dalle lusinghe di una bella autostoppista, anche se lo attende il più umile dei compiti. Non fa sesso con le minorenni. Affronta un chiaro pericolo per accertarsi della sorte di un amico, e ne esce a testa alta. Si batte nel finale contro nemici feroci (con l’aiuto di un amico fedele). Cliff non si lagna della sorte, che ha premiato Rick e costretto lui a una vita di povertà. Ma non è un concentrato di virtù, non è l’uomo che faresti sposare a tua figlia (visto anche – ehm – un certo suo precedente). E nonostante l’opposta polarità dei personaggi, è un buon amico di Rick. Non c’è nulla di facile o schematico in questa contrapposizione.

Il film dura due ore e quaranta minuti, ma i momenti di stanca sono pochissimi – mi viene in mente solo il dialogo di Rick con l’attrice bambina. Si ride di frequente, per esempio nella scena esilarante dello scontro tra Cliff e Bruce Lee (che a Tarantino deve stare discretamente antipatico). La Sharon Tate di Margot Robbie è forse troppo eterea, troppo luminosa – ma è una precisa scelta del regista, e la rispetto. Al di fuori dei due protagonisti si fa notare Margaret Qualley (Pussycat), che unisce alla bellezza (che rivaleggia ormai con quella della famosa mamma) movenze da ballerina e una stranezza inquietante.

Tarantino dispiega la consueta panoplia di trovate e invenzioni formali. Cito alla rinfusa: il modo in cui la canzone Mrs Robinson si interrompe all’improvviso al cambiamento di scena; lo scenario che scorre rivelando l’auto dei protagonisti; il dialogo silenzioso tra Cliff e Pussycat; la scena interrotta di Cliff in barca con la moglie, che ci lascia incerti su cosa sia veramente accaduto; i salti nel dialogo con James Stacy; la musica dell’episodio tv in sottofondo che fa da ominosa colonna sonora mentre Cliff esplora la casa di George Spahn. In plastico rilievo la nota passione di Tarantino per i piedi femminili.

Il finale non è solo la solita, catartica esplosione di violenza tarantiniana. È anche, esattamente come in Basterds, un modo di riscrivere la storia, un omaggio commovente a quello che avrebbe potuto essere e non è stato. Quest’anno, per combinazione, è andata in onda una serie tv, For All Mankind, che nulla ha in comune con Once Upon a Time, salvo una cosa: anch’essa riscrive la storia del 1969. Nel 1969 di queste storie alternative ci sono ancora un allunaggio e un massacro di Bel Air; ma non sono andati precisamente come nella nostra linea temporale. E ciò che è morto o avvizzito prematuramente in quell’anno, le promesse e i sogni del decennio precedente, può idealmente rivivere e portare frutto. In queste fantasie ucroniche gli anni Sessanta non sono mai finiti.

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Incomprensibile / 16 Novembre 2019 in C’era una volta a... Hollywood

E’ il mio secondo Tarantino e sicuramente non ci sarà il terzo. Che senso ha questa storia? Si tratta di una struttura vagamente ispirata a La grande Bellezza? Seguiamo infatti i protagonisti nei loro incontri apparentemente scollegati tra di loro. Va bene presentare la comune hippie ma è necessaria la scena nella casa del cieco. La presenza di Sharon Tate sullo sfondo poi mi sembrava pretestuosa e inutile, gli assassini sono presentati come degli imbecilli ma il “mancato” delitto mi sembra quasi una mancanza di rispetto delle vere vittime.
Riguardo i dialoghi poi …. mi sembrava che lo sceneggiatore volesse dire guardate che bei dialoghi scrivo, non sono dialoghi presi dalla strada, non sono nemmeno trattati di filosofia epicurea ma sono i migliori dialoghi del mondo…

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Tarantino fa BOOOM! / 2 Ottobre 2019 in C’era una volta a... Hollywood

Avete presente il lanciafiamme di Rick Dalton?
Ebbene Tarantino ci è arrivato addosso così: dopo qualche commento schifato di amici finalmente riesco ad andare a vederlo e… appena uscito ho tirato le orecchie ai miei amici, “Tarantino non è per tutti! Non fate i critici se certi aspetti non li guardate nemmeno!”
Prima di tutto, queste recensioni che etichettano questo film come il suo peggiore, sono a dirsi soggettive: ok, è diverso, ma c’è molto più di ció che serviva!
Inutile discutere questi dettagli, peró ammetto che la durata per qualche verso puó penalizzare un film, anche se in questo caso penso proprio per niente!
Tarantino ha creato un suo stile in tutti questi anni e l’ha evoluto, l’ingrediente di cui non ha mai fatto a meno non è la violenza o il sangue, anche se si pensa subito a quella, ma è la citazione, l’elogio al cinema, la storia nella storia. Questo è il suo grande merito: è cresciuto e ha saputo mantenere questo alto livello, dando tinte nuove a storie apparentemente comuni.
Prendiamo questa di Sharon Tate: tutto si stravolge, ma perché? Perché Tarantino loda e beffeggia quei cult degli anni 60, ridicolizza la Hollywood e la sua spirale di fama, ed essendo tutta una farsa, altrettanto in farsa finisce. Ma sempre col suo stile!
La regia, i personaggi, le ambientazioni, la fotografia, le musiche, i colori: è tutto un grandissimo lavoro e ben riuscito.
Mi sono dovuto scrivere le scene che mi hanno colpito per non dimenticarle: dall’inizio, in cui ci presenta Dalton e la sua fidata controfigura Cliff, (credo che Brad Pitt sia stata la migliore performance di questo film!), le descrizioni degli eventi e le sue dinamiche e le presentazioni dei personaggi: per un attimo mi sono ricordato di “Jackie Brown!”.
Cliff che beffeggia Bruce Lee ridendo su un mito. Il piano sequenza dell’incontro sul set con una bambina che legge un libro (non a caso) di Walt Disney, lo scatto d’ira di Dalton quando dimentica le battute. La scena in cui Cliff accompagna Pussycat (vi ricordate la macchina di Kill Bill?) al ranch della famiglia di Manson e tenta di andare a trovare George… non siete stato col fiato sospeso?
Momenti semplici all’occhio nudo ma memorabili.
Piccole sequenze come l’accendersi delle luci a neon delle insegne, o le ragazze hippie che attraversano la strada mentre canticchiano: queste sono scene nitidamente rievocate dagli anni 60 in una perfetta e minuziosa ricostruzione!
Che dire: tutti aspettavano la violenza e alla fine….? Sarete accontentati?!
A me gli ultimi 10minuti hanno proprio fatto ridere e godere.
Per questo credo che Tarantino accontenti tutti perchè ci ha messo davvero tanto, tutto, in questo film.
Grandioso Brad Pitt, il personaggio che ho preferito. Di Caprio invece l’ho trovato troppo sopra le righe, un po’ come in “Wolf Of Wall Street”.
Notare la piccola scena dopo i titoli di coda. 20 secondi pieni delll’isteria del cinema!
Un bell’applauso, Quentin.
Anche se il mio preferito resta Kill Bill vol.1 ti meriti un bel 7,5.

E comunque se dovete vedere un film e perdervi le migliori sfumature, forse siete più tipi da cinepanettone!

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Addio, mia bella Sharon / 29 Settembre 2019 in C’era una volta a... Hollywood

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Potrei anche riassumere la trama di questo film ma sarebbe superfluo. La trama è insignificante.
Se vogliamo proprio mettere un’etichetta è la storia di un attore sul viale del tramonto, ma non è solo questo. E’ la storia delle storie, la storia fatta di intrecci, di inizi, riscritture, tagli, montaggi e conclusioni inconcludenti.
E’ la storia del cancello chiuso della casa di Sharon Tate, un cancello che rimarrà chiuso per sempre senza una ragione precisa nella realtà.
E’ la storia del cinema, di quella Hollywood Babilonia tanto bisfrattata, che si assumeva il compito di coccolare il pubblico, di proteggerlo dalle insidie della realtà.
La Hollywood edulcorata (non a caso la citazione a Walt Disney), fiabesca, la hollywood dei c’era una volta, tanto tempo fa…
Tarantino si prende il compito di descrivere un’epopea, si prende i suoi tempi lunghi e li riempe tutti senza mai stancare lo sguardo del pubblico.
Mentre noi pubblico dovremmo farcela finita con la storia che è il film meno tarantiniano di Quentin perché c’è poco sangue, e per questo svalutare un’opera così preziosa.
Il sangue in Tarantino era l’elemento che negli anni ’90 gli permetteva di attirare il pubblico, era l’elemento distintivo, quello che colpiva, è l’equivalente del colore giallo nei Simpson, serviva solo a non far cambiar canale. La vera cifra stilistica di tarantino è stata sempre la citazione del film dentro il film dentro il film dentro il film, raccontare il vecchio, riproporlo, omaggiarlo, cosa che ho sempre considerato una forza e una debolezza allo stesso tempo. Ma con questo film mi ha stupito, ha abbandonato gli esercizi infantili del suo primo cinema, la divisione in capitoli, la ripetizione, la citazione forzata….qui decide di citare tutto e niente, di iniziare una storia dentro l’altra e dentro l’altra ancora. Confeziona un film che si rifiuta di iniziare e si rifiuta di finire, inizia con una finta serie televisiva e finisce con una finta salvezza, come una fiaba. La realtà è messa da parte per lasciare spazio a una serenata alla sua bella Sharon, il suo grande amore, il suo unico amore…
Vorrebbe che fossero esistiti un Rick Dalton e un Cliff Booth a salvare quella Sharon Tate innamorata del cinema e del suo mestiere, quella Sharon innocente e angelicata, forse troppo idealizzata, troppo melensa in alcuni punti ma comunque valida perché trascende l’umano.
Tarantino ha detto addio al ragazzino entusiasta che sparava pose e frasi epiche tingendole di rosso per avviarsi verso la sua piena maturità artistica. Abbandona i fumetti e i cartonati e finalmente ci mette il cuore nel suo film andando a fondo per una volta invece che restare in superficie.
Lo capiremo tra cent’anni.

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Il voto sarebbe un 7.5 / 24 Settembre 2019 in C’era una volta a... Hollywood

Nono film di Quentin Tarantino ambientato nella Hollywood del 1969.
Rick Dalton (Leonardo Di Caprio) è un attore la cui carriera non ha avuto l’esito sperato; dopo il successo della serie che lo vedeva protagonista “Bounty Law”, il lancio nel cinema non è arrivato come immaginato e adesso è ridotto a fare il cammeo in altre serie tv. Di conseguenza anche il suo amico e controfigura Cliff Booth (Brad Pitt) è in difficoltà ed è costretto a fargli da autista/tuttofare. Rick abita a Hollywood ed ha come vicini di casa Roman Polanski e la moglie Sharon Tate (Margot Robbie) appena arrivati mentre Cliff alloggia in una roulotte in un posto un po’ desolato.
Film particolare (nel senso diverso dal suo solito) di Tarantino che si immerge nella Hollywood della fine degli anni ’60; alcuni elementi caratteristici del regista compaiono sempre: il feticismo per i piedi (alcune inquadrature si soffermano fin troppo come ad esempio nelle scene di Sharon Tate al cinema a guardare il suo film), una sana dose di violenza (sempre esagerata) e ottimi dialoghi. Sullo sfondo, ma neanche troppo, compaiono anche Charles Manson e la sua “famiglia” con la giovane hippie Pussycat (Margaret Qualley vista in “Nice guys”), nome esplicativo, che cerca di circuire Cliff.
Splendide alcune scene come la rissa tra Cliff e Bruce Lee sul set de “Il calabrone verde” e il dialogo tra Rick e la ragazzina attrice sul set di un film.
Film lungo (più di 2 ore e mezza) ma non annoia mai e il finale mi ha sorpreso un po’ anche se ha una sua logica.
Nel resto del cast da citare Emile Hirsch nei panni di Jay Sebring (l’amico di Sharon Tate), Dakota Fanning è una delle donne della comune di Manson, Al Pacino è Marvin Schwars (agente di casting), il compianto Luke Perry è un attore del telefilm western e Damian Lewis è un somigliante Steve McQueen.
La moglie italiana di Rick Dalton è interpretata da Lorenza Izzo vista in Knock Knock e poi alcuni attori “feticcio” di Tarantino come Michael Madsen, Zoe Bell e Kurt Russell.

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Difficile da guardare come tutti i film di Tarantino ma merita. / 22 Settembre 2019 in C’era una volta a... Hollywood

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

La critica maggiore che è stata rivolta a questo film dai fan di Tarantino è quella di essere appunto poco “tarantiniano”, ovvero mancante di quel suo stile farcito di violenza e sangue a gò-gò. Per me questa è una cosa più che positiva, se fosse stato così non avrei resistito nella visione per più di un minuto(trovo disturbante il suo modo di fare cinema), invece l’ho visto tutto e mi è anche piaciuto, ho apprezzato la realizzazione meticolosa della Hollywood della fine degli anni’60, la messa in scena della rivoluzione del cinema americano per opera delle produzioni europee(di cui Polanski fu uno degli artefici) e la svolta hippy.
Dal punto di vista tecnico e registico è perfetto, grandissima prova attoriale di Leonardo Di Caprio e del sempreverde(e sempre figo) Brad Pitt, c’è una cosa però che mi ha fatto storcere il naso, il finale discutibile sia per la decisione(umana e comprensibile) di voler cambiare la realtà dei fatti sia per il tono che si discosta radicalmente da quello che era stato fino a quel momento(eh ti pareva che potevano mancare i bagni di sangue e la violenza gratuita e fine a sé stessa?), sono le note stonate di un film fino a quel momento perfetto.
Comunque sia ho apprezzato la vena malinconica, nostalgica ed evocativa che permea tutta la pellicola ma, come tutti i film di Tarantino, risulta a tratti difficile da guardare. Però merita, gliene va dato atto.

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Tra i peggiori di Tarantino / 22 Settembre 2019 in C’era una volta a... Hollywood

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Sono andato a vedere questo film con aspettative non molto alte perchè avevo captato che sarebbe potuto essere un flop e avevo dei pregiudizi, in particolare su brd pitt (che non amo molto e in questo film, dai trailer, sembrava dare il peggio di se in quanto ad antipatia). La coppia Di Caprio- Brad Pitt mi faceva storcere il naso, troppo simili, mi dava l’idea di 2 personaggi rivali che si temono a vicenda e si leccano il c**o e che questo sarebbe emerso anche nel film. Il pregiudizio è stato clamorosamente confermato, Pitt è super odioso, peggio di quanto immaginassi, ma fortunatamente il personaggio di Di Caprio non è stato condizionato dalla sua presenza, anzi è lui a salvare il film, mentre il collega è per me colui che lo affossa. In questo film Brad Pitt è il tipico personaggio eccessivamente sicuro di sè, calmo, pacato, non trasmette mai emozioni di paura, sempre tranquillo, anche quando è in pericolo, questa è una cosa che odio, mi ricorda i bambini di moonrise kingdom, super apatici.Pare un super uomo, anzi un robot, paura di nessuno, nessuno lo puo battere, addirittura riesce ad umiliare Bruce Lee. Un altro difetto di questo film è l’inutilità di Sharon Tate, il suo personaggio poteva tranquillamente apparire molto meno e non sarebbe cambiato niente, sembra un sottoepisodio scollegato dalla trama. Sono rimasto molto deluso dall’epilogo non fedele alla realtà anche se mi ha divertito abbastanza, soprattutto la scena del lanciafiamme. Ho apprezzato tantissimo la parentesi italiana di Di Caprio che ha recitato in spaghetti western e in una sorta di italian job. Sicuramente molto inferiore ad altri capolavori di Tarantino (kill bill, le iene, hateful 8, pulp fiction) è comunque un buon film che mi ha intrattenuto e divertito.

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Tarantino fu: il cinema è un lanciafiamme. / 22 Settembre 2019 in C’era una volta a... Hollywood

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Mettiamo da parte le solite stronzate, il fatto che è un omaggio al cinema, il fatto che è pieno di citazioni, i piedi, le interpretazioni di Di Caprio e Pitt, le 10 parole pronunciate da Margot robbie. Ragazzi forse non vi siete accorti che questo è cinema PURO. Cinema PURO. CINEMA PURO. L’ho visto qualche giorno fa e ci sto pensando ancora, in metro, mentre mangio, mentre caco, mentre scopo, mentre penso ad altro.
Un’ artista attraversa varie fasi durante il proprio cammino nell arte. Tarantino fu ribelle, scorretto, incoscientemente rivoluzionario coi primi tre film, tre capolavori, tre terremoti che hanno scosso la storia del cinema. È stato sfrenato , cattivo, cosciente e divertito nei successivi quattro. Poi arriva The hateful eight (cui non eravamo ancora pronti), perla di saggezza e manifesto della sua maturità. E probabilmente serviva a prepararci alla nona sinfonia, quest’ ultimo. Avete rotto con la storia del “tarantiniano” … un’ artista si rinnova, cambia , riflette su se stesso, su cosa ha dato e su cosa può ancora dare all arte. Non mi va di parlare di trama o di sceneggiatura, di interpretazioni, montaggio e fotografia. Il cinema è oltre. Il cinema è un lanciafiamme, ha il potere di cambiare la storia, di ricordare chi e cosa siamo e chi e cosa eravamo. Tarantino non ti dà quello che vuoi, te la fa annusare, ma non te la dà. Ti illude sempre. Ti prende per il culo, e fa bene perché è questo quello che ci meritiamo, essere presi per il culo.. per la gente che siamo, per la testa che abbiamo, per la visione che abbiamo di cinema. È importante oggi riflettere sulla violenza, sulla degenerazione degli ideali, sul fatto che la violenza è alle radici della civiltà e non esiste perche “ce l hanno fatta vedere loro nei film”, sulla solitudine di chi è Hollywood. Ogni personaggio racconta a modo suo un pezzetto di Hollywood: Tarantino ci mette alla prova, ci sbatte davanti un fallito alcolizzato e uno che ha ucciso la moglie , un attore e la sua controfigura, un unico essere, la parte debole e quella forte, quella pubblica e quella intima e segreta. Il doppio volto di chi fa parte di quel mondo. La possibilità dell’amicizia.
Fino alla sequenza in cui Sharon Tate va al cinema a vedere il suo stesso film ero in una situazione mentale particolare, ero come drogato, caduto nella storia, nel film. Quella strana sequenza mi ha come svegliato, mi sono chiesto “ma dove mi trovo” “che cosa sto guardando?” . Grande e bella sensazione che solo opere d’arte enormi ti danno la possibilità di provare. Anche al finale, una sensazione strana allo stomaco.

(Tutta la sequenza di Cliff Booth allo Spahn Ranch è semplicemente destinata ad entrare nelle pagine dei libri di storia del cinema. Come si costruisce una scena, come si costruisce tensione, come si costruisce un personaggio. Tutte le sequenze in macchina sono le più belle sequenze in macchina mai viste).

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Il sogno lucido di Tarantino / 20 Settembre 2019 in C’era una volta a... Hollywood

Tarantino, nel corso della sua peculiare carriera, ha sempre ripreso omaggiando, ma in questo caso, nel suo sogno lucido di una Hollywood anni ’60, figlia di ambizioni e desideri, non sembra lasciare ai semplici ossequi le redini della sua forma espressiva, riadattando, attraverso i suoi ritmi narrativi, le sue repentine riprese, i suoi montaggi incostanti, quel cambiamento, quel mutamento stilistico e culturale, fortemente condizionato dal cinema europeo, che ha investito Los Angeles in quel periodo. E lo fa con una sceneggiatura come sempre prolissa e sfacciata, arguta ed esilarante, pur cadendo, come accade quando alla realtà si sovrappone la fantasia, in facezie che hanno più l’aspetto delle buffonerie ( ma a Tarantino si perdona quasi tutto ).
Una sceneggiatura che ha sorretto una narrazione altalenante soprattutto per merito delle interpretazioni dei caratteristi.
Il personaggio interpretato da Leonardo DiCaprio, infatti, per quanto simile a una macchietta, è riuscito a rendere meno incoerente il tutto, dando un tocco di semplicità e faciloneria alla storia, sebbene lo splatter, e in generale la violenza caricaturale tipica dei film di Tarantino, sia ridotta all’osso ( pur rimanendo incisiva) .
In generale, questa pellicola, si discosta molto dai suoi ultimi lavori, pur rimanendo una sua personale e fedele visione, forse la più sincera, e per questo, la più opinabile.

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Per pochi ma buoni / 20 Settembre 2019 in C’era una volta a... Hollywood

Una cosa è certa: Tarantino un film brutto non sa farlo manco per sbaglio.
Allego link alla mia videorecensione: https://youtu.be/wMaRQWi03c0

Un tributo al CINEMA (Stefano Cavigiola) / 20 Settembre 2019 in C’era una volta a... Hollywood

Se non sei un vero cinefilo “godi solo a metà”. Come nel mio caso purtroppo!
Credo che solo chi possiede una cultura smodata di cinema e della storia del cinema e dei suoi protagonisti… possa riuscire a cogliere ed apprezzare totalmente il pandemonio messo in piedi da Tarantino! Un vero e proprio tributo (a volte anche autocelebrativo) di una bellezza indecente. La bellezza del “c’era una volta” che ti travolge: ambientazioni, musiche…cartelloni pubblicitari, automobili, locandine, insegne, abiti! Chi si aspetta i ritmi ed i dialoghi cui Tarantino ci ha abituato in passato…non vada a vedere il film. E’ sicuramente il tasto dolente purtroppo. Il film ha una valenza d’altro tipo ed a volte può sembrare un mero esercizio di stile e tecnica. Anche se, comunque, l’impronta Tarantino, resta assolutamente inconfondibile e complessa.
Sarà meglio che non mi soffermi sulle citazioni…visto che nelle mia ignoranza ne avrò colte una minima parte. Qualche presa per il c**o benevola: western italiani, hippies, giovani patinati, telefilm americani e un poco di immancabile splatter darioargentese!
Una ricostruzione dei dettagli maniacale e una buona dose di raffinatezza e nostalgia (la sequenza di Sharon Tate che guarda sé stessa, nella sala buia del cinema, con i piedi scalzi sul seggiolino… è disarmante <3). Il solito gusto nel cambiare la storia restituendo un po' di giustizia (diciamo che gli "amici" della Manson's Family non fanno una gran bella fine...). Sono sicuro che, per chi può farlo (e non è il mio caso, ca**o!!), il film visto in lingua originale avrebbe tutto un altro fascino. Non uscite dalla sala prima della fine dei titoli di coda! Sono rimasto solo e sono uscito per ultimo....e ne vale sempre la pena..... 😉 (ATTENZIONE: SPOILERATA!!!) "questa sigaretta sa di me**a, ca**o"!!!!

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Una dichiarazione d’amore / 19 Settembre 2019 in C’era una volta a... Hollywood

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Ambientato a Hollywood nel 69, è la storia di un attore in crisi, la sua amicizia con il suo stuntman, e il loro incrocio con Sharon Tate e la comunità hippie di Charles Manson.

Come ricostruzione della Los Angeles e della Hollywood (sia ambiente che tipo di cinema), non c’è un granchè da dire: è semplicemente perfetto.
La regia: coinvolgente.
L’interpretazione di Di Caprio: alla grande (bravi anche Pitt e gli altri, ma avevano ruoli più facili, secondo me)
Citazionismo (anche nei confronti di sè stesso), a pacchi.
Insomma, sul “come” Tarantino mette in scena la sua storia, è come mi aspettavo: pressoché perfetto.

Temevo però fosse un mero esercizio di stile (come, a mio parere, è “Ave Cesare” dei Coen). Tarantino che ci dice “uh quanto era bello il cinema a quei tempi”.
Invece, per fortuna, è molto di più. E’ una vera, sentita, dichiarazione d’amore al cinema, ed è gioioso e struggente insieme.
Una delle scene migliori del film, per me, è più o meno a metà, Sharon Tate (Margot Robbie) che guarda felice il proprio film a cinema, radiosa per l’apprezzamento del pubblico nei confronti del film. E’ impossibile non sentirsi coinvolti dal suo sorriso, e allo stesso tempo sentirsi amareggiati perché sappiamo qual è la fine che ha fatto.

Trovo invece poco interessante l’amicizia tra i due protagonisti, che mi è sembrata meramente funzionale alla trama.

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Favole e rimpianti / 19 Settembre 2019 in C’era una volta a... Hollywood

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Che roba… Quello che, in giro, è stato definito il film più maturo di Tarantino, a me è sembrato il meno tarantiniano della sua filmografia. Intendiamoci: in C’era una volta a… Hollywood, c’è tutto e di più di Tarantino. Il suo nono (forse, penultimo) film è un omaggio indiavolato a tutto ciò che gli piace e che l’ha reso quel che è, artisticamente parlando. Qui, Tarantino non si è risparmiato nel mettere in scena una ricostruzione palesemente piena d’amore della Hollywood decadente di fine anni Sessanta. Così, Once Upon A Time In Hollywood è un film ricchissimo di suggestioni e di buone trovate di colore.

C’è una ricostruzione d’ambiente così pregevolmente accurata da essere quasi soffocante. I due protagonisti, l’attore Rick Dalton (Leonardo DiCaprio) e la sua controfigura storica Cliff Booth (Brad Pitt), sono indiscutibilmente solidissimi, supportati dalle ottime interpretazioni dei loro interpreti, super concentrati e ironici, e scalpellati in fase di sceneggiatura in tre dimensioni, con storie pregresse interessanti quanto (se non di più) quella che li vede in azione nel film (ci sono diverse dichiarazioni e interviste di Tarantino sulla questione, in cui spiega come si sia impegnato a rendere credibili Rick e Cliff, quali film, attori e situazioni realmente esistiti siano convenuti nella loro definizione).
Ci sono tanti piedi femminili nudi, sacchi di piedi, vagonate di piedi, invariabilmente zozzetti.
C’è tanta musica, pure troppa.
Ci sono tantissimi attori noti, una marea, perlopiù amici del regista (e, quando non è riuscito ad avere i suoi sodali, Tarantino ne ha chiamato a raccolta i figli, infatti, nel cast, per esempio, compaiono Rumer Willis, figlia di Bruce e Demi Moore, e Maya Hawke, figlia di Uma Thurman e Ethan.
C’è la riscrittura amabilissima, stracciacuore, di un evento terribile. Con la fantasia, esattamente come aveva fatto con Inglorious Basterds e, in qualche maniera, anche con The Hateful Eight, Tarantino ha fornito la sua riscrittura della Storia, tentando di mettere a nanna per 161 minuti la follia e le conseguenze di quegli scampoli di Summer Of Love.

Per quanto il film, nel suo complesso, non mi sia affatto dispiaciuto, C’era una volta a… Hollywood mi è sembrato un ridondante esercizio di stile fine al sollazzo di Quentin, un lavoro in cui, però, mancano i marchi di fabbrica del cinema di Tarantino e che a me non dispiace mai ritrovare, come in una zona di comfort.
La scrittura non morde, non affonda, soprattutto nei dialoghi, che mi sono parsi particolarmente incolori, privi di passaggi caratterizzanti. La musica sembra appoggiata sulle scene, non le fonda, non le puntella. Pur avendo inserito ampi omaggi al cinema, anche a quello italiano, questo film è L.A.-centrico come non sono stati neppure Le iene, Pulp Fiction e Jackie Brown che, pure, con una ispirata discrezione, hanno fatto del contesto suburbano della metropoli californiana uno dei loro elementi più forti: qui, invece, sembra predominare solo l’acceso desiderio di ricreare una precisa atmosfera, dominata da un rimpianto personale. E, allora, giù di maniacale ricostruzione, di surplus di marchi commerciali, di sigle e siglette, stacchetti radiofonici e siparietti tv.
Tarantino-regista, in questo caso, è come Rick Dalton che litiga con se stesso, che parla solo con la sua immagine riflessa nello specchio, minacciandola: “Se lo fai ancora, ti faccio saltare il cervello!”.
Per me, guardare questo film ha significato nuotare in apnea nella testa di Tarantino: ho lasciato che mi portasse dove voleva e mi è piaciuto dove siamo arrivati, mi è piaciuto molto (sul finale, ho sentito anche uno strano magone gonfiarmisi in gola), anche se, tolti alcuni dettagli, non era il viaggio che mi aspettavo di fare.

A freddo, mi rendo conto che C’era una volta a… Hollywood va preso per quel che è: una favola. E, ora, capisco che quel “Once upon a time” non è (solo) un rimando a Leone, ma è la chiave di volta di tutto il film: “C’era una volta, il regno incantato di Hollywood, dove i cowboy sparavano a salve. Qui, viveva una principessa gentile, dai lunghi capelli biondi. Si chiamava Sharon Tate. E questa è la buffa storia di come non morì”.

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