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Pioggia di ricordi

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Pioggia di ricordi / 19 Marzo 2016 in Pioggia di ricordi

Lo Studio Ghibli ci regala l’ennesimo capolavoro (il film è del 1991, ma in occidente è arrivato tardi, e in Italia addirittura solo alla fine del 2015), questa volta per la regia di Isao Takahata. A differenza dei film di Miyazaki, qui non c’è nessuna concessione alla fantasia: il film tratta di temi adulti, ed è indirizzato a un pubblico adulto. Nelle campagne non si incontra Totoro, ma si parla con un contadino – brevemente, non temete! – di liberalizzazioni del mercato e dei pro e contro delle colture biologiche.
Molte cose del film non sono del tutto comprensibili al pubblico europeo: scuole organizzate in modo differente, riferimenti culturali che ci dicono poco o nulla, usanze tipiche giapponesi poco note; ironicamente, uno dei pochi prestiti occidentali a comparire è il baseball, uno degli sport di più difficile comprensione per un italiano non appassionato. Eppure l’interesse umano della vicenda traspare in quasi ogni situazione: nel rapporto contradditorio della protagonista col padre silenzioso e distante, nel delizioso episodio della matematica (che cosa significa dividere una frazione per un’altra?, si chiede Taeko, e noi con lei; e qui lo spettatore capisce all’improvviso una cosa che i personaggi della pellicola invece non comprendono: che la bambina è la più intelligente di loro).
Ma è negli ultimi venti minuti che la sottigliezza dei sentimenti messi in scena raggiunge l’apice. Qui il film diventa davvero universale, parla a tutti, pur nella semplicità del suo linguaggio; e anche se avrei preferito un finale un po’ più ambiguo, in conclusione non si può rimanere che commossi e ammirati.

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L’importanza del ricordo / 18 Dicembre 2013 in Pioggia di ricordi

Seconda regia di Isao Takahata sotto la produzione dello Studio Ghibli. Se già si erano visti segnali più che positivi col precedente Una Tomba Per Le Lucciole, questa sua pellicola dimostra ancora una volta tutta la bravura del mentore di Hayao Miyazaki e mette su un altro piccolo tassello verso la sua consacrazione.
La storia ruota attorno alla vita di Taeko Okajima, una ragazza di 27 anni che lavora per una grande azienda di Tokyo. Un lavoro poco appagante e una situazione sentimentale pressoché assente (non è sposata e non ha un fidanzato). Decide, durante le sue ferie, di andare a lavorare presso l’azienda agricola dei genitori del cognato, per poter visitare quei luoghi che ha sempre desiderato vedere da bambina.
Sarebbe riduttivo dire che la pellicola presenta la struttura del racconto in prima persona, con un ampio e preciso utilizzo del flashback. Omohide Poro Poro si potrebbe in realtà definire come un vero e proprio viaggio nelle profondità dell’io, nel confronto spietato tra il proprio passato, il proprio presente ed il proprio futuro. Il tutto attraverso un prorompente e dilagante flusso di coscienza. I ricordi di Taeko sono presentati ad un primo impatto scollegati tra di loro, ma tutti in qualche modo fondamentali per il suo percorso di crescita e per definire sé stessa. Un processo che ricorda molto, volendo fare un paragone, La Coscienza di Zeno del nostro Italo Svevo.
Le animazioni questa volta cedono il passo, seppur mantenendosi buone, ad una storia solida ed interessante, con un protagonista atipico non solo per i canoni dello Studio Ghibli, ma anche per tutta l’animazione contemporanea.
Anche le musiche si mostrano molto apprezzabili.
Il finale è poi una semplice ed autentica perla dell’animazione e potrebbe tranquillamente valere da solo tutta la pellicola.
Continua così, Takahata.
Un difetto in Omohide Poro Poro? Certo: come mai questa pellicola non è ancora giunta dalle nostre parti?

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10 Maggio 2013 in Pioggia di ricordi

(Otto stelline e mezza)

Takahata Isao usa il motore del ricordo per raccontare l’ascesa alla maturità (umana e sentimentale) di una donna pratica ed indipendente nel Giappone dei primi anni Ottanta.
Il ritmo dilatato del racconto, ricco di dettagli d’ambiente e di silenzi particolarmente significativi, è il battito perfetto di una storia che spiega dettagliatamente allo spettatore come sia difficile interpretare i segni che costellano la propria esistenza e quale sia il giusto peso da attribuire loro.

Secondo me, si tratta, finora, del miglior lungometraggio di Takahata, compiuto, toccante, tenero e divertente e, perciò, pienamente riuscito.
La sequenza finale, contenuta nei titoli di coda ed accompagnata da una dolce canzone interpretata da Harumi Miyako, varrebbe da sola la visione dell’intero film, poiché ne racchiude il più profondo significato.

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