13 Agosto 2011
Gran film. Ottima la sceneggiatura, una commedia brillante con dei bei tempi, dei bei dialoghi, belle idee per far esplodere contraddizioni e sorrisi. E ottima impronta stilistica: macchina incollata ai soggetti, c’è la lei che seguiamo dall’inizio che si trova sperduta all’interno dell’anello che circonda lo stadio, con un giro a 360 gradi la cinepresa ci dice tutto, che è la sua prima volta, che è estranea a quel luogo, che forse proprio non dovrebbe essere lì; il fuori campo è sempre usato al millimetro, tutto è indiretto, sia per le ragazze che non possono partecipare allo spettacolo pubblico del calcio che per i soldati stritolati dal meccanismo dell’esecuzione del comando.
Panahi con il suo piccolo microcosmo seziona una società e l’assurdità delle sue regole, ma lo fa senza drammi, anzi con il sorriso, con quell’idea che in fondo tutti i protagonisti comprendano la condizione dell’altro anche a scapito della propria privata libertà. E infatti sono tutti piccoli protagonisti del grande sistema dittatoriale che confrontandosi forse un accordo lo troverebbero: interessante quindi lo scambio fra la ragazza di città e il soldato dell’entroterra che stimolato da continue domande si trincera dietro il nulla di vaghi dogmi per giustificare un sistema iniquo. Il problema di genere è il grimaldello del film: è il suo perchè ed è il motivo di ogni momento cardine, come quello dei bagni in cui si acuisce il sistema dello stato che si fa tutore degli individui per annullarli e dunque controllarli (la ragazza potrà andare in bagno ma le viene chiesto di farlo ad occhi chiusi per non leggere le scritte sui muri)

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