ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama
Dai, ammettiamolo, quando avete visto la locandina del nuovo film di Lars Von Trier, avete pensato tutti la stessa cosa, e invece…Partiamo col dire che Nymhomaniac non è un porno perché, generalmente, i porno non angosciano come angoscia questo film, poi non so voi. L’intento di Lars, come egli stesso dice in un’intervista, era quello di creare un’unica intera storia di 4 ore. E infatti mi viene da pensare ad un unico film di 4 ore. Che Lars Von Trier fosse leggermente un provocatore lo sapevamo già, ma con quest’ultimo capolavoro si toglie letteralmente tutti i sassolini dalla scarpa. Joe stessa si definisce fin da subito una ninfomane. Dare un nome ad un aspetto sessuale significa racchiuderlo in una sfera, considerarlo subito malattia: Von Trier non vuole chiudere questo mondo, anzi, vuole aprirlo, spalancarlo, senza aver paura di affrontare tutte le tematiche del sesso che spaziano dalla omosessualità alla pedofilia. Cerca di affrontare tutto con gli occhi di Joe. Joe, finalmente al fianco di Jerome, non riesce più a provare piacere. Questa mancanza la distrugge talmente tanto da decidere di provare il sadismo affidandosi ad L. Forse perché con il dolore fisico può prendere coscienza del proprio corpo, sentire che lei ne ha ancora il controllo, anche se in realtà il controllo è solo nelle mani di L. Il posto viene mostrato quasi come un ospedale, dai colori statici, morti, il luogo in cui aspetta gli incontri sembra persino una sala d’attesa. Le pazienti sono delle vittime, non parlano, e quando si rivolgono a L. abbassano lo sguardo. Sembra che il piacere maggiore lo provi L. nel maltrattarle. Ma Lars non si accontenta di provocare dal punto di vista sessuale, no, vuole andare fino in fondo. Molteplici, infatti, sono i riferimenti alla religione che possono essere considerati blasfemi o meno. Joe non si sente toccata minimamente dalla religione, non ne subisce i limiti. Nella sua famiglia non si affronta questo tema perché la spiritualità è solo legata alla natura ( come si vede nel primo e poi nel secondo con continui riferimenti agli alberi). Selingman fa una piccola lezione di storia spiegando la spaccatura tra la chiesa orientale e la chiesa occidentale, precisamente tra la religione ortodossa e la religione cattolica, la prima considerata più gioiosa della seconda, che invece è intrisa del simbolismo della crocifissione, del peccato, del pentimento. Questa spaccatura ricalca la vita di Joe, che subisce una netta divisione tra la gioia iniziale dell’adolescenza, nella scoperta di usare la propria sessualità come meglio crede – a volte come un’arma e una sfida; e il dolore e la disperazione finale nella quale si immerge in un mondo estraneo al suo. Anche qui esiste un forte collegamento tra le trentanove frustate ( o quaranta come spiegherà Selingman) di Cristo e il sadismo. Joe non sente il senso di colpa legato al piacere che prova nel fare sesso. L’espressione “mea culpa, mea maxima culpa” cambiata in “mea vulva, mea maxima vulva” ne è la dimostrazione. Non esiste nessuna colpa, solo ciò che chiede e sceglie la propria vulva. Il primo orgasmo di Joe da bambina viene mostrato quasi come una visione celestiale. Si è creato inconsciamente in me, quindi, un collegamento con il simbolismo della religione, che secondo me è totalmente voluto, a partire dai colori che diventano più tenui e la visione delle due donne che all’inizio possono sembrare due madonne. Tutto questo è un fil rouge che termina poi con l’orgasmo che raggiunge mentre viene frustrata: come se Von Trier volesse concludere un ciclo iniziato dal primo orgasmo fino all’ultimo con l’immagine del Cristo prima della crocifissione. Tutto muore. Non a caso da quel momento in poi, nel film, non si parlerà più di orgasmo o di piacere. Interessante è stato rappresentare Selingman come un giudice estraneo, proprio perché asessuato, che però cede alla tentazione. Passione che sovrasta la razionalità.
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